Esteri

“Estremamente preoccupata”: la Cina apre il confronto – cosa propone all’Ucraina?

In seguito alla telefonata tra il ministro degli esteri cinese Wang Yi e il suo omologo ucraino Dmytro Kuleba, lo scenario della più grave crisi militare sul suolo europeo dopo la Seconda Guerra Mondiale, sembra essere cambiato ancora una volta.

Il ministro degli esteri ucraino Dmytro Kuleba, durante il colloquio telefonico con Wang Yi, ha chiesto a Pechino di usare tutti i suoi buoni uffici con Mosca per porre la parola fine a questa guerra.

“La situazione è cambiata rapidamente, la Cina deplora lo scoppio del conflitto tra Ucraina e Russia ed è estremamente preoccupata per i danni ai civili” queste sembrerebbero essere le parole pronunciate dal ministro degli esteri cinese nel corso della telefonata.

Esercizio molto complicato decifrare le dichiarazioni di politica estera di Pechino, soprattutto all’interno di una crisi che tocca degli argomenti estremamente delicati; Pechino deve infatti continuamente modificare il proprio baricentro per non schierarsi troppo esplicitamente nè con Mosca nè con l’Occidente, stando però allo stesso tempo attento a non tagliare i ponti con nessuno dei due.

Wang Yi ha poi aggiunto “la posizione di Pechino è aperta, trasparente e coerente. Abbiamo sempre sostenuto il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale di tutti i Paesi. In risposta all’attuale crisi, la Cina invita Ucraina e Russia a trovare una soluzione al problema attraverso i negoziati e sostiene tutti gli sforzi internazionali costruttivi che portino a una soluzione politica”.

Di certo le parole di Wang Yi rivelano e sottolineano il clima di insofferenza e paura che sta interessando tutto il globo terrestre dallo scoppio del conflitto.

La cosa di fondamentale importanza risiede nel fatto che per la prima volta anche Pechino fa chiaro riferimento a ciò che è ormai sotto gli occhi di tutti: un conflitto, una crisi, una guerra; una sottolineatura non di poco conto, considerando che fino a qualche giorno fa i cinesi si rifiutavano persino di usare la parola “invasione”.

 

Manuela Ronchi

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