Si celebrerà mercoledì 18 maggio, con lo slogan “La storia non si cancella”, la seconda edizione della Giornata Nazionale in memoria delle vittime delle marocchinate.
Saranno ricordate più di 60.000 persone, tra uomini e donne italiane, che sono state violentate dalle truppe coloniali francesi durante la Seconda Guerra Mondiale.
La storia delle “marocchinate”
Con questo termine si suole indicare gli stupri di gruppo, le uccisioni, i saccheggi e le violenze di ogni genere perpetrate dalle truppe coloniali francesi (Cef), aggregate agli Alleati, ai danni della popolazione italiana e dei prigionieri di guerra.
Le truppe coloniali francesi, nate dalla volontà di De Gaulle, erano composte per la maggioranza da marocchini, algerini, tunisini e senegalesi e per il restante da francesi europei, per un totale di più di 11.000 uomini.
Gli stupri delle truppe coloniali cominciarono già nel 1943 in Sicilia, dopo lo sbarco degli Alleati, in particolare nel paese di Licata e comuni limitrofi.
Risalendo la Penisola, le truppe coloniali hanno perpetrato le violenze in Campania, ma è soprattutto nel Lazio (in particolare, Frosinone, Latina, Roma e Viterbo) che sono avvenuti gli orrori più grandi.
I marocchini non risparmiavano nessuno: donne, bambine, gli uomini che volevano difenderle. Tutte vittime cui provocare il massimo dolore possibile. Le testimonianze riportano persino la storia di un prete, don Alberto Terrilli che, nel tentativo di difendere due ragazze, venne legato a un albero e stuprato per una notte intera.
Secondo alcune testimonianze, sembra che anche gruppi di francesi europei abbiano partecipato alle violenze.
“Gli americani erano a conoscenza delle violenze”
A dichiararlo è stato il ricercatore storico e presidente dell’associazione nazionale vittime delle marocchinate, Emiliano Ciotti, che ha rinvenuto nell’archivio dello Stato Maggiore Italiano un documento in grado di provare la conoscenza, da parte degli Alleati, delle violenze compiute dalle truppe coloniali francesi.
Il documento in oggetto è un rapporto della sezione controspionaggio della 5^ Armata, firmato dal Maggiore dei Carabinieri Reali Cesare Faccio, è datato 22 giugno 1944 e riporta una violenza perpetrata ai danni di una donna, che poi aveva riportato il tutto ad un Sergente dell’esercito USA, il quale aveva poi riportato la situazione al Comando Generale.
In quella occasione, proprio il Comando Generale diramò una disposizione ai militari americani “di far uso delle armi, qualora si fossero trovati presenti a violenze commesse dai marocchini”, cosa che poi in alcune circostanze è realmente avvenuta.
“Si tratta di un documento sconvolgente” afferma Ciotti, dal quale si evince che non soltanto gli Alleati, ma anche il controspionaggio italiano erano a conoscenza delle atrocità compiute dalle truppe coloniali e che ben poco hanno fatto per far terminare queste violenze. Così facendo, “le donne e gli uomini italiani dovettero subire ancora per diversi mesi le bramosie sessuali di questi militari francesi”.
I numeri agghiaccianti
“Dalle numerose documentazioni raccolte oggi possiamo affermare che ci furono 20.000 casi accertati di violenze, numero del tutto sottostimato; diversi referti medici dell’epoca riferirono che un terzo delle donne violentate, che si erano fatte medicare, sia per vergogna o per pudore, preferì non denunciare. Facendo una valutazione complessiva delle violenze commesse dal Cef, iniziate in Sicilia e terminate alle porte di Firenze, possiamo quindi affermare con certezza che ci fu un minimo di 60.000 donne stuprate, ognuna, quasi sempre da più uomini”, si legge nel sito dell’Associazione nazionale vittime delle Marocchinate.
La vicenda è stata anche raccontata anche da Vittorio De Sica, nel celebre film “La Ciociara”, con protagonista l’immensa Sofia Loren.