Domenica, 10 luglio. Ieri migliaia di persone hanno preso d’assalto la residenza del presidente dello Sri Lanka, Gotabaya Rajapaksa, mentre scoppiava una rivoluzione popolare che ha coronato mesi di proteste contro le autorità per la devastante crisi economica del Paese, la peggiore dalla dichiarazione di indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1948. Rajapaksa, si é trovato costretto a fuggire in una località segreta protetta dall’esercito.
Le strade della capitale del Paese, Colombo, sono gremite di centinaia di migliaia di persone che hanno aderito alla massiccia manifestazione iniziata sabato mattina, guidata dai monaci buddisti del Paese e sostenuta da associazioni civili, artisti, insegnanti, scrittori e altri professionisti.
Dopo aver occupato la residenza presidenziale, un altro gruppo di manifestanti è entrato negli uffici del primo ministro e li ha incendiati. Tali atti hanno costretto alle dimissioni del presidente, Gotabaya Rajapaksa, e del primo ministro, Ranil Wickremesinghe.
Il perché delle proteste
Le proteste dello Sri Lanka sono iniziate all’inizio di marzo, nel contesto di una crisi economica senza precedenti nella storia del Paese, caratterizzata da aumenti inaccessibili del prezzo del carburante, mancanza di accesso ai beni di prima necessità, interruzioni dell’energia elettrica, livelli record di inflazione (che potrebbero salire al 70% su base annua nei prossimi mesi) e un debito estero accumulato di quasi 50 miliardi di euro.
La popolazione ha finito per incolpare il Rajapaksa e i suoi uomini per le decisioni che hanno portato a gravi carenze di ogni bene, dal carburante alle medicine, a blackout giornalieri che durano fino a 13 ore.
All’inizio di questo mese, infatti, lo Sri Lanka è diventato il primo Paese al mondo a limitare la vendita di carburante al pubblico dalla crisi petrolifera degli anni ’70, con un decreto che vieta ai proprietari di auto private di utilizzare le stazioni di servizio fino al 10 luglio.
Prima di questa crisi, lo Sri Lanka ha beneficiato per anni di miliardi di dollari di prestiti dalla Cina, un programma che è esploso con l’attuale crisi dei cambi.
Alcuni critici usano lo Sri Lanka come esempio della “trappola del debito” a cui la Cina sta sottoponendo diversi Paesi del mondo, soprattutto in Africa, che secondo loro sono costretti a fare concessioni commerciali o diplomatiche esagerate per ritardare i rimborsi. Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha risposto a queste critiche, definendole una “narrazione” guidata da “coloro che non vogliono vedere questi Paesi uscire dalla povertà”.