Il dodo è un gigante uccello endemico originario delle Mauritius. La sua estinzione risale all’incirca al 1600, anno in cui divenne la preda favorita dell’uomo a tal punto che sul pianeta non ne rimase neppure un esemplare. Nonostante quindi la sua scomparsa da tale momento, un gruppo di ricercatori della University of California Santa Cruz si è recentemente posto il quesito della possibilità di de-estinzione di tale specie animale.
Diversi team si stanno dunque applicando per poter attuare una clonazione stile Dolly 2.0. – la famosa pecora riprodotta con successo attraverso un esperimento umano nel 1997.
Questo uccello dal nome bizzarro – il quale significa letteralmente pigro, scemo o matto – è stato così apostrofato in seguito al primo incontro con l’essere umano, essendosi rivelato una preda dalla facile cattura per la sua inabilità al volo.
La prima testimonianza di avvistamento di tale esemplare risale al 1598, quando il viceammiraglio olandese Wybrand van Warwijck – appena sbarcato a 550km a est del Madagascar – si ritrovò di fronte ad un pennuto decisamente insolito. Inizialmente gli venne attribuito lo pseudonimo di Walghvogel, in olandese ‘uccello insipido o ispido’ per la sua non commestibilità.
Alto circa un metro e con un peso tra i 15 e 20 kg, la sua esistenza sull’isola era proceduta serenamente fino allo sbarco umano. L’impossibilità di spiccare il volo infatti non costituiva un difetto determinante in un luogo privo di predatori. Ma ovviamente i marinai e gli esploratori non limitarono la loro bramosia di caccia e si abbatterono sull’animale con una tale foga da non lasciarne neppure un esemplare in vita.
A seguito della sua estinzione si pensava fosse impossibile trovarne un campione in buone condizioni di conservazione – che dunque potesse permetterne il riconoscimento e sequenziamento del genoma – a tal punto che si iniziò a dubitare della sua esistenza.
Eppure Beth Shapiro, leader del team di ricerca statunitense, è riuscita a rilevare un raro dodo proveniente dalla Danimarca e straordinariamente integro, a tal punto da poterne estrarre il DNA e cercare di attuarne una clonazione.
Non è la prima volta che un gruppo di ricerca si applica per poter de-estinguere una specie non più esistente. Risale a inizio secolo infatti fa la notizia della possibile clonazione dello stambecco dei Pirenei, però definitivamente abbandonata a seguito di numerosi esperimenti inconcludenti.
Il percorso da attuare per permettere al genoma di passare da un fossile a un animale vivo e vegeto non è di sicuro un gioco da ragazzi. Tecnicamente vi è la necessità di ricreare un cosiddetto proxy della specie estinta, ovvero un DNA vitale similare che presenti tutto il genoma reale grazie all’utilizzo dell’ingegneria genetica. Una volta ottenuto il proxy, questo verrebbe impiantato in una cellula uovo surrogata per svilupparsi nella stessa specie originaria.
Un processo tutt’altro che immediato. Come sostenuto dalla stessa compagnia, se si riuscisse anche solo lontanamente a portare a termine il progetto auspicato, “i Pgc – cellule germinali primordiali aviarie – dei piccioni verrebbero manipolati per svilupparsi [in ultima istanza] in un uccello simile a un dodo“.
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