L’agghiacciante storia di Jedwabne: ecco perché i polacchi non vogliono ricordare l’olocausto

Sergio Mattarella, il nostro Presidente della Repubblica, si trova attualmente in visita in Polonia.

Il capo di Stato ha trovato il tempo di recarsi a Varsavia per celebrare la grande amicizia tra i due paesi che si è instaurata fin dal post- Seconda Guerra Mondiale, “consacrata a Montecassino” a seguito del sanguinoso conflitto.

Ma non solo.

Lo ha fatto per ricalcare alcuni degli argomenti più importanti del nostro secolo: la guerra in Ucraina naturalmente, ma anche la situazione migranti che l’Europa si sta trovando ad affrontare, ed ancora l’attesa dell’anniversario della Liberazione del 25 aprile, ormai alle porte.

“Tra l’Italia e la Polonia” – riferisce Mattarella – “c’è stato e continua ad esserci un interscambio economico in crescita, forte dalla grande collaborazione tra le nostre aziende e quelle polacche”. 

Seppur sia stato presentato un quadretto alquanto roseo, proprio alla vigilia del 25 Aprile ricorda però sottolineare la posizione alquanto ambigua assunta dal paese polacco nei confronti del ricordo degli avvenimenti accaduti nel corso della Seconda Guerra Mondiale, durante i quali occorre ricordare la Polonia ha preso parte al rastrellamento ebreo da parte dei nazisti. E li ha aiutati, così come l’Italia, nel loro piano.

Seppur in misura minore. Seppur non si possa fare di tutta l’erba un fascio.
Bisogna però ricordare, e assumersi le proprie colpe.
Azione che ai polacchi, apparentemente, risulta alquanto difficile.

La storia del negazionismo polacco

La Polonia è stata uno dei paesi più colpiti dall’olocausto durante la seconda guerra mondiale, con milioni di cittadini polacchi uccisi dai nazisti tedeschi. Tuttavia, negli ultimi anni, il governo polacco ha cercato di minimizzare il ruolo dei polacchi nell’olocausto e di negare alcune parti della storia.

Uno dei modi in cui la Polonia ha negato la storia dell’olocausto è stato attraverso una legge controversa che è stata approvata nel 2018. Questa legge – Articolo 55A – puniva chiunque avesse accusato la Polonia di essere complice dell’olocausto o di altri crimini di guerra commessi dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. La legge ha suscitato indignazione in tutto il mondo, con alcune persone che la hanno descritta come un tentativo di revisionismo storico. La legge è stata infine modificata dopo le pressioni internazionali, ma il danno era stato fatto. La Polonia ha cercato di nascondere la sua parte nella storia dell’olocausto e di negare che ci fossero polacchi che avevano collaborato con i nazisti per uccidere gli ebrei.

Questo perché alcuni anni addietro – precisamente nel 2001 – uno storico ebreo polacco di nome jan Gross aveva pubblicato un manuale intitolato Jan Gross’s Neighbors: The Destruction of the Jewish Community a Jedwabne, nel quale rimarcava la verità relativa all’episodio della strage di Jedwabne, appunto. Il 10 luglio 1941 centinaia di ebrei vennero assassinati proprio dai loro vicini polacchi in tale villaggio a 100 miglia nord-est di Varsavia. Bambini e donne uccisi. Uomini torturati. Persone decapitate. Il tutto proprio ad opera del popolo che sessant’anni dopo avrebbe vietato di parlare di tale episodio definendolo “una questione di opinioni, con diverse prospettive storiche” [ministra dell’Istruzione Anna Zalewska, 2016, ndr].

Ecco perché, ancora dopo tanto tempo, risulta fondamentale ricordare.
E negare, di fronte alla storia, non serve a nulla.