La crisi climatica incide non solo sulla nostra salute e su quella del nostro pianeta ma anche sui nostri portafogli. E incide tanto: 13 milioni di euro all’ora solo negli ultimi vent’anni.
Tale cifra è stata calcolata da Nature Portfolio, la rivista che ha condotto uno studio sui costi direttamente collegati al riscaldamento globale. Nature Portfolio, attiva dal 1869, si occupa infatti di attività di ricerca volte a indagare sulla realtà che ci circonda attraverso un metodo scientifico e razionale, con un seguito di più di 9 milioni di lettori al mese.
La rivista specifica comunque che si tratta di un calcolo approssimativo in quanto non è stato possibile reperire alcuni dati dai paesi con il reddito più basso, ma proprio questa è la cosa più spaventosa: nonostante la mancanza di alcuni dati, la cifra si attesterebbe già intorno a 115 miliardi l’anno.
Per darci un’idea di quanto tale numero sia meramente indicativo uno dei ricercatori, Ilan Noy, professore alla Victoria University di Wellington in Nuova Zelanda, ha affermato: ” I 115 miliardi non sono la realtà. Ad esempio, i dati sulle morti delle ondate di calore erano disponibili solo in Europa. Non abbiamo idea di quante persone siano morte a causa delle ondate di calore in tutta l’Africa sub-sahariana“.
Tali stime provengono dalla combinazione delle conseguenze ambientali della crisi climatica con i dati derivanti dalle perdite economiche. Gli studi si sono basati sul criterio dell’attribuzione, ossia calcolando quanto il riscaldamento globale provocato direttamente dall’uomo abbia reso estremi gli eventi meteorologici e i danni a essi connessi.ù
Le perdite finanziarie maggiori sono quelle connesse alle morti degli esseri umani
In termini più ampi, la stragrande maggioranza delle spese, che costituisce circa il 66%, è associata direttamente alle conseguenze sugli uomini e alle perdite di vite, mentre la restante parte riguarda i danni causati agli edifici e alle infrastrutture.
Negli ultimi anni infatti, eventi come tempeste, ricordiamo l’uragano Harvey e il ciclone Nargis, incendi dall’Australia alla Grecia e ondate di siccità, come quella in Somalia, hanno distrutto intere aree di proprietà private composte da edifici e infrastrutture, provocando danni diretti a più di 1,2 miliardi di persone e causando 70.000 morti.
Le conseguenze economiche emergono soprattutto nel settore primario, quello agricolo.
Nel 2020, ad esempio, l’ Africa, fu colpita da un fenomeno del tutto inaspettato di proliferazione di locuste che hanno distrutto raccolti e vegetazione in molteplici nazioni, causando danni stimati pari a 8,5 miliardi di dollari.
Douglas Main, autore del National Geographic, l’anno scorso scriveva così: “I bombi, tra i più importanti impollinatori, sono in pericolo. Pelosi e vivaci, questi insetti eccellono nello spargere il polline che fertilizza molti tipi di flora selvatica, e anche le maggiori coltivazioni agricole come quelle di pomodori, mirtilli e zucca”. Le minacce che incombono su di loro sono varie, dall’utilizzo massiccio di insetticidi al disordine climatico che costringe molte specie a cercare nuovi habitat o, nel peggiore dei casi, a estinguersi.
Per Christian Aid, autore di un altro rapporto volto a calcolare i costi dei cambiamenti climatici ( “Counting the cost 2020: a year of climate breakdow”) “Questi eventi estremi evidenziano la necessità di un’azione urgente per il clima. Ha compiuto 8 anni l’accordo di Parigi, che ha fissato l’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura “ben al di sotto” di 2° C, idealmente a 1,5° C, rispetto ai livelli preindustriali. E’ fondamentale che i Paesi si impegnino a raggiungere i nuovi obiettivi prima della prossima conferenza sul clima, solo così potremmo fermare il cambiamento climatico”,
A Parigi i leader mondiali affermavano che l’Europa sarebbe divenuta la prima economia e società a impatto climatico zero entro il 205o, ma da allora un cambiamento vero e proprio non è mai avvenuto e fermare il riscaldamento globale sembra oggi un’impresa impossibile.