Gli scienziati lo preannunciano ormai da tempo: la temperatura globale si alzerà di almeno due gradi entro il 2050.

Tra i molti settori che ne subiranno le conseguenze, quello agricolo sarà il più colpito e soprattutto la viticoltura ne risulterà profondamente cambiata.

L’uva infatti è particolarmente sensibile ai cambi di temperatura e ai più impercettibili cambiamenti climatici e per questo viene spesso presa a indice di minaccia di altre colture alimentari.

La geografia del vino sta cambiando

Il vignaiolo torinese Federico Garzelli pone l’attenzione sul fatto che in seguito all’aumento delle temperature vi sarà una maturazione anticipata delle uve di quattro settimane. Ma questo non sarebbe l’unico problema dato che i fenomeni climatici estremi a cui già stiamo assistendo, come alluvioni e nubifragi, porteranno alla devastazione delle coltivazioni delle viti.

“Di anno in anno, il germogliamento, la fioritura e quindi la vendemmia anticipano il proprio ciclo sempre di più, ma vendemmiare ad inizio agosto vuol dire perdita di acidità e maturazioni sbilanciate, oltre a condizioni di lavoro talvolta estreme, ed avremo quindi vini con Ph, zuccheri e alcol molto elevati, sentori verdi, aromi diversi”, afferma Garzelli.

Aggiunge poi: “La vocazionalità dei territori cambierà: il 56% della viticoltura potrebbe spostarsi dalle regioni più calde al Nord America e al Nord Europa. Da qui al 2050 le temperature di certe regioni registreranno un aumento delle temperature di 2-3 gradi, trovandosi così ad affrontare una vera e propria incompatibilità con le varietà attualmente allevate”.

In poche parole egli preannuncia che la geografia di produzione del vino cambierà molto presto.

Entro il 2050 infatti, molte regioni vinicole tradizionali in tutta Europa, come quelle spagnole, francesi e italiane, diventeranno meno adatte alla coltivazione di uve da vino, mentre altri territori emergeranno come futuri produttori, come ad esempio il Canada, l’Inghilterra, la Cina e perfino la Scandinavia.

Secondo lo studio del critico enologo Eric Asimov, chiamato “Wine and Climate Change” e pubblicato sul New York Times , questi paesi avrebbero già dozzine di nuovi vigneti e cantine che producono vino. Un vino che non avrà, ovviamente, il sapore a cui siamo da sempre abituati, ma a questo ci potremo abituare.

I problemi più grandi sono quelli che si risentiranno su grande scala

Innanzitutto il cambiamento della geografia vinicola per quanto possa beneficiare alcuni territori si scontrerà con l’assenza di una vera e propria industria del vino e di un quadro normativo preciso. D’altro lato dovrebbe comunque essere profuso un certo impegno nel salvare il salvabile di quelle realtà che storicamente si dedicano a queste attività, come la regione dello Champagne francese.

Un tentativo inutile per alcuni enologhi, che invece affermano che l’unica soluzione per salvare il vino non è dedicarsi alle regioni storiche ma investire nei territori emergenti. 

Tra questi vi è Adriano Zago, specializzato in Viticoltura ed enologia a Montpellier, ora consulente agronomico ed enologico di tante griffe del vino in Italia e nel mondo.

Egli afferma: “Tentare di preservare lo stato attuale è tempo perso, ed è indicativo il fatto che nei miei ultimi master di formazione abbia avuto tra i partecipanti aziende che producono vino in Belgio, Olanda e Inghilterra, partite da zero, senza cultura o conoscenze pregresse. Come per ogni cosa, è un nuovo inizio che nasce dalla fine di qualcosa. I prossimi 50 anni lasceranno una viticoltura profondamente diversa da quella che conosciamo, ma è precoce capire da che parte andrà. Nel frattempo, bisogna fare ciò che ci dettano il buonsenso, la scienza, l’intuizione e la libertà d’azione. È fisiologico difendere territori che hanno fatto la storia del vino per secoli, ma solo l’osservazione della realtà ci dirà quanto di tutto quello che stiamo ipotizzando sarà futuribile”.