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Quando un videogioco diventa una fonte di sostentamento: il fenomeno del “gold farming” in Venezuela

Durante la grave crisi economica che devastava il Venezuela, il videogioco RuneScape veniva usato per guadagnare, tramite il “gold farming”.

Tra il 2017 e il 2020, nei momenti peggiori della grave crisi economica che stava devastando il Venezuela, molti cittadini venezuelani si sono trovati costretti a cercare soluzioni inaspettate per sopravvivere. Una di queste è emersa nel mondo virtuale di Old School RuneScape, un popolare videogioco di ruolo online, dove migliaia di persone iniziarono a dedicarsi al “gold farming” per guadagnare denaro reale.

Ben presto questo fenomeno, che ha visto i venezuelani accumulare monete virtuali nel gioco per poi rivenderle in cambio di valuta straniera, è diventato una sorta di paradosso: una risposta creativa alla crisi economica che, tuttavia, ha portato a conseguenze inaspettate anche all’interno del gioco stesso.

Old School RuneScape e il “gold farming”

Old School RuneScape è un gioco di ruolo online dove i giocatori esplorano un mondo virtuale chiamato Gielinor, completando missioni, combattendo mostri e scambiando risorse. La versione “Old School” del gioco, lanciata nel 2013, ha un design minimalista che la rende accessibile anche a chi ha connessioni internet poco potenti, una caratteristica che la rendeva particolarmente adatta ai venezuelani, alle prese con una connessione instabile e dispositivi obsoleti.

La vera opportunità economica nel gioco risiedeva però nell’accumulo di monete d’oro (la valuta di RuneScape) attraverso attività ripetitive e poco impegnative, come il taglio degli alberi o la pesca. Queste monete potevano essere poi rivendute a giocatori di paesi più ricchi, principalmente negli Stati Uniti, in cambio di dollari. Questo processo, conosciuto come “gold farming”, è stato una vera e propria alternativa per molti venezuelani, che guadagnavano da 20 a 30 dollari a settimana, una cifra che, in quel periodo, poteva superare il salario mensile di un lavoratore venezuelano.

La crisi reale riflessa nel mondo virtuale

Per molti, RuneScape ha rappresentato una via di fuga dalle difficoltà quotidiane del Venezuela, dove l’inflazione galoppante e la scarsità di beni di prima necessità avevano reso impossibile vivere con il bolivar, la valuta locale. Tuttavia, i problemi economici del Venezuela non si sono fermati ai confini del mondo reale: anche RuneScape ha visto riflessi i disastri economici del paese. Nel 2019, ad esempio, un enorme blackout che ha colpito il Venezuela ha causato la scomparsa dei gold farmers dal gioco, portando a un’inflazione interna che ha reso i beni virtuali molto più costosi e difficili da ottenere, proprio come accadeva nella realtà con la scarsità di beni.

L’alta concentrazione di gold farmers venezuelani ha generato una crescente ostilità tra i giocatori di RuneScape. Un gruppo in particolare, il clan “Reign of Terror”, ha preso di mira i gold farmers, eliminando i giocatori venezuelani dal gioco e tentando di monopolizzare le risorse più preziose. Ciò ha innescato una vera e propria “guerra mondiale” nel gioco, che ha visto migliaia di giocatori confrontarsi per il controllo delle risorse virtuali.

La battaglia tra i clan ha coinvolto un’intensa organizzazione e strategia, ma anche un desiderio di sopravvivenza che andava oltre il gioco. Per i venezuelani, la perdita di un personaggio in RuneScape non era solo una frustrazione videoludica, ma una minaccia diretta alla loro capacità di guadagnarsi da vivere.

Nel corso del tempo, però, le circostanze sono cambiate: l’inflazione all’interno di RuneScape è aumentata, e le monete d’oro hanno perso valore, proprio come il bolivar nel mondo reale. Di conseguenza, il gold farming è diventato meno redditizio, e molti venezuelani hanno abbandonato il gioco per tornare a cercare lavoro nel mondo reale o dedicarsi ad altri giochi online. Nonostante ciò, il fenomeno del gold farming non è scomparso del tutto, e molti venezuelani continuano a utilizzare il gioco come fonte di reddito alternativa.

Barbara Soehner

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