Per la Gen Z, i millennial sono il nuovo bersaglio preferito. E una penna del Guardian ha provato a spiegare perché.
C’è stato un tempo in cui i millennial erano il simbolo della giovinezza digitale, quelli che avevano “capito” internet prima degli altri, tra blog personali, primi social network e startup garage. Oggi, agli occhi della Gen Z, sono diventati l’equivalente di un genitore che cerca di essere cool: cringe senza rendersene conto.
L’accusa arriva dritta da una firma del Guardian, Chloë Hamilton, che ha messo nero su bianco una sensazione ormai diffusa tra i nati tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2010: i millennial sono diventati i nuovi boomer.
Ma che cosa vuol dire “cringe”? È un termine difficile da tradurre, ma il senso è chiaro: imbarazzanti, forzatamente autoironici, incapaci di accettare che il loro momento è passato. I loro meme sono stanchi, le battute prevedibili, la loro ossessione per l’autenticità puzza di artificio. Quelli che un tempo si vantavano di essere “adulti riluttanti” ora sembrano bloccati in un’estetica da Tumblr, tra magliette ironiche e frasi motivazionali fuori tempo massimo.
La differenza è netta: mentre i millennial trasformano tutto in contenuto ironico – dalla depressione (“I want to die but make it aesthetic”) al precariato (“Avocado toast bankrupted me lol”) – la Gen Z affronta gli stessi temi con più crudezza o silenzio. Il linguaggio è il campo di battaglia più evidente. I millennial usano ancora emoji come fossero punteggiatura, mentre i zoomers ne usano pochissime e danno un nuovo significato ad esse. (L’emoij dello scheletro adesso indica che si sta morendo dalle risate).
Anche l’estetica racconta due mondi diversi. L’Instagram millennial – filtri seppia, citazioni in corsivo su sfondi rosa pastello, foto del brunch con didascalie infinite – è diventato un meme involontario. La Gen Z preferisce il caos controllato di TikTok: video grezzi, trend che durano 48 ore, ironia più tagliente e meno autocompiacente.
Certo, ogni generazione ha bisogno di prendere le distanze dalla precedente per definire se stessa. I boomer accusavano la Gen X di cinismo, la Gen X trovava i millennial troppo ottimisti e idealisti. È il ciclo eterno delle generazioni.
Non è questione di giusto o sbagliato. I millennial hanno attraversato la crisi del 2008, l’esplosione dei social media, la precarietà lavorativa trasformata in gig economy. Hanno sviluppato meccanismi di difesa comprensibili: l’ironia come scudo, l’autocommiserazione come bonding sociale, l’estetica curata come forma di controllo.
La Gen Z è cresciuta in un mondo già digitale, già precario, già in crisi climatica. Non ha avuto bisogno di adattarsi: è nata dentro la tempesta. Per questo può permettersi di essere più diretta, più tagliente, meno protettiva nei confronti dei propri sentimenti.
Il risultato è un passaggio di testimone culturale più brusco del solito. Una generazione che pensava di aver appena conquistato il centro della scena si ritrova già ai margini.
La firma del Guardian, in fondo, non lancia un’accusa: fotografa un passaggio di testimone. Una generazione sta smettendo di essere il centro del discorso. E l’altra – con meno pazienza e più velocità – ha già cambiato canale.
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