A partire dall’anno accademico 25/26 il tradizionale test di ingresso a Medicina viene sostituito dal semestre filtro: tutti potranno iscriversi, ma soltanto chi supera gli esami previsti e ottiene i CFU richiesti entrerà in graduatoria per accedere al secondo semestre
Cambia radicalmente il sistema di accesso ai corsi di laurea in Medicina e Chirurgia in Italia. Il Consiglio dei Ministri ha approvato la riforma che segna la fine del test nazionale di ammissione, sostituito dal cosiddetto semestre filtro. Una novità che interessa decine di migliaia di aspiranti camici bianchi e che ridisegna il percorso di ingresso alla facoltà più ambita.
Il semestre filtro sarà composto da insegnamenti comuni nelle aree biologiche, chimiche e fisiche, con esami uniformi in tutta Italia. Il numero esatto di materie e CFU verrà definito dal decreto attuativo del Ministero dell’Università e della Ricerca, ma non potrà essere inferiore a 18 crediti. La riforma prevede inoltre la possibilità di ripetere il semestre fino a tre volte.
Un aspetto importante è la doppia iscrizione obbligatoria: oltre a Medicina, ogni studente dovrà scegliere un corso alternativo dell’area biomedica o sanitaria. I crediti eventualmente conseguiti verranno riconosciuti in questo secondo percorso in caso di esclusione dalla graduatoria.
Il nuovo sistema, presentato come più equo e meritocratico, ha però già sollevato numerose critiche. Molti sottolineano come il numero chiuso non sia stato realmente abolito, ma semplicemente rimandato.
Secondo l’Associazione Nazionale Docenti Universitari (ANDU), il semestre filtro rappresenta un «attacco gravissimo alla libertà dell’insegnamento universitario». Trasformare gli esami di profitto in prove standardizzate nazionali, da svolgere nello stesso giorno in tutte le università, significa ridurre l’autonomia accademica e uniformare forzatamente percorsi che dovrebbero valorizzare le specificità didattiche.
La selezione, invece di semplificarsi, rischia di moltiplicarsi: al posto di un test nazionale unico, ci saranno tre prove trasformate in test, che diventano sei per chi ripete il semestre. Aumentano così i costi per la preparazione e il rischio di ricorsi amministrativi, in un quadro che già si presenta fragile.
Molti osservatori hanno notato la somiglianza con il modello francese, giudicato fallimentare e definito dal presidente Macron «obsoleto, ingiusto e inefficace» prima della sua abolizione. In Francia il semestre filtro ha prodotto abbandoni di massa, ansia diffusa e scarsi miglioramenti nella qualità della formazione.
Anche in Italia emergono fraintendimenti: diversi studenti hanno interpretato la riforma come un’apertura libera senza selezione, salvo scoprire solo in seguito l’esistenza della graduatoria di fine semestre. Alcune università, come la Federico II di Napoli, hanno già registrato abbandoni e proteste per spese sostenute invano.
Ma il nodo più critico resta la programmazione sanitaria. L’Italia non ha bisogno di aumentare genericamente il numero dei medici, ma di formare specialisti in aree scoperte come pronto soccorso, pediatria e anestesia. Al contrario, i reparti soffrono una carenza drammatica di infermieri, senza i quali anche un maggior numero di medici diventa inefficace. Un recente rapporto stima che tra il 2023 e il 2032 saranno formati circa 32.000 medici in più rispetto al fabbisogno reale, con un costo stimato di miliardi di euro per lo Stato.
Per i critici, il semestre filtro non risolve nulla: sposta lo sbarramento e aumenta i costi. Le vere priorità dovrebbero essere programmazione, investimenti mirati e un piano sanitario capace di rispondere alle reali esigenze del Paese. Aprire le porte per sei mesi e richiuderle a giugno non è una riforma: è un’illusione.
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