La Sardegna ha approvato la legge sul suicidio assistito, diventando così la seconda regione italiana con una normativa sul fine vita.
La Sardegna entra nella storia della bioetica italiana. Ieri mattina, il Consiglio regionale ha approvato a maggioranza una legge che regola tempi e procedure per accedere al suicidio medicalmente assistito. La norma, redatta sulla base della proposta dell’associazione Luca Coscioni e già adottata in Toscana, ha spaccato l’Aula: 32 voti favorevoli, 19 contrari e un solo astenuto.
A sostenerla sono stati i consiglieri del “campo largo”, con la relatrice Carla Fundoni (PD), presidente della commissione Sanità e medico, in prima linea. Proprio lei ha sottolineato il senso del provvedimento: “La politica deve saper affrontare i temi più complessi con responsabilità e rispetto. Garantire diritti, ascoltare chi soffre, tutelarne la dignità, senza lasciare che siano altri a decidere per noi”.
Il riferimento è chiaro: la legge nasce per colmare il vuoto normativo lasciato dallo Stato, dopo che la Corte Costituzionale nel 2019 aveva aperto la strada alla possibilità del suicidio assistito, imponendo però una cornice giuridica che fino ad oggi il Parlamento non ha saputo definire.
Fine vita in Sardegna: come funziona la legge sul suicidio medicalmente assistito
Il testo approvato dal Consiglio regionale stabilisce criteri rigorosi. Potrà accedere al suicidio medicalmente assistito chi è affetto da una patologia irreversibile, dipendente da trattamenti vitali e in condizioni di sofferenza insopportabile. L’assistenza sanitaria sarà garantita gratuitamente.
Il percorso è scandito da passaggi precisi. Ogni richiesta sarà valutata da una Commissione multidisciplinare permanente, composta da un medico palliativista, un neurologo, uno psichiatra, un anestesista, un infermiere e uno psicologo. A loro il compito di verificare la sussistenza dei requisiti, insieme ai comitati etici territoriali.
Le aziende sanitarie regionali forniranno il supporto tecnico e farmacologico. L’autosomministrazione del farmaco potrà avvenire in ospedale, in hospice o – se il paziente lo richiede – presso il proprio domicilio. Il provvedimento garantisce inoltre tempi definiti, per evitare attese estenuanti che in passato hanno costretto molti malati a lunghi ricorsi legali.
La norma, tuttavia, non sostituisce le cure palliative: le integra, offrendo un ventaglio più ampio di possibilità a chi si trova in condizioni estreme.
Se per i promotori la legge rappresenta un atto di civiltà, le critiche non sono mancate. Gran parte dell’opposizione ha contestato la competenza regionale, sostenendo che un tema così delicato sia di esclusiva responsabilità dello Stato. Per alcuni consiglieri, come il capogruppo FdI Paolo Truzzu, il testo è solo “una legge manifesto del campo largo”, applicabile a pochissimi casi e destinata a creare illusioni. Altri hanno invitato ad attendere il Parlamento, per una disciplina nazionale che garantisca uniformità. “Abbiamo una sensibilità diversa – ha spiegato Umberto Ticca dei Riformatori sardi – su un tema simile sarebbe stato necessario l’intervento del legislatore nazionale”.
Il rischio di impugnazione da parte del Governo resta altissimo. La norma toscana, approvata mesi fa, è già stata contestata dall’esecutivo per eccesso di competenza, e lo stesso destino potrebbe toccare alla Sardegna.
Le reazioni non si sono fatte attendere. L’associazione Luca Coscioni, per voce di Marco Cappato e Filomena Gallo, ha espresso soddisfazione: “Una legge di civiltà che impedirà il ripetersi di situazioni in cui persone hanno dovuto attendere per mesi o anni in condizioni di sofferenza insopportabile”.
Dall’altro lato, l’associazione Pro Vita & Famiglia ha definito il provvedimento “una legge omicida”, chiedendo al Governo di impugnarla. Critiche anche dalla Chiesa cattolica: l’arcivescovo di Cagliari e segretario della CEI Giuseppe Baturi ha espresso “rammarico per l’approvazione”, auspicando soluzioni nazionali che privilegino l’accompagnamento e la cura.
In Aula, Carla Fundoni ha ricordato la testimonianza di Laura Santi, paralizzata per 25 anni, che aveva lasciato parole toccanti sulla libertà dal dolore e sull’importanza di combattere per i propri diritti. Una memoria che, per la relatrice, rappresenta la ragione più profonda per affrontare il tema con coraggio e responsabilità.