Chi è Tilly Norwood, l’attrice creata dall’AI che fa indignare Hollywood

Interamente generata dall’intelligenza artificiale, l’attrice scatena polemiche, entusiasmi e paure nell’ambiente del cinema

La sua presentazione ufficiale al Zurich Summit sembrava un evento di settore come tanti, ma nel giro di poche ore è diventato un caso internazionale. Tilly Norwood, la prima attrice interamente creata con l’intelligenza artificiale, è apparsa al mondo non come un semplice esperimento tecnologico, ma come un fenomeno destinato a scuotere le fondamenta dell’industria dello spettacolo. Dietro di lei c’è Xicoia, spin-off della compagnia Particle6 fondata dall’attrice e comica Eline Van der Velden, che ha pensato Tilly come una performer a tutti gli effetti: capace di recitare in film, serie, contenuti social e pubblicitari, senza vincoli di tempo, contratti o budget.

Un progetto che per molti rappresenta un salto creativo, per altri invece una minaccia diretta al lavoro degli attori. La reazione è stata immediata: da Melissa Barrera, che ha definito l’operazione «schifosa», a Kiersey Clemons, che ha chiesto di rendere pubblici i nomi delle agenzie interessate. Nicholas Alexander Chavez ha liquidato l’idea con un secco «Non è un’attrice», mentre Jenna Leigh Green ha chiamato in causa il sindacato SAG-AFTRA, protagonista degli scioperi del 2023-2024 contro l’uso non regolamentato dell’IA.

Non sono mancati i commenti ironici, trasformati in valvole di sfogo: Lukas Gage ha finto di raccontare di un set caotico con Tilly sempre in ritardo, Odessa A’zion ha scherzato su un caffè rovesciato addosso, Trace Lysette l’ha accusata di tagliare la fila a pranzo, mentre Mara Wilson ha sollevato la questione più spinosa: «E le centinaia di giovani donne reali i cui volti sono stati usati per comporla? Non potevate assumerne una di loro?».

L’eco è diventata ancora più forte quando, durante il podcast Awards Circuit di Variety, Emily Blunt ha visto per la prima volta le immagini di Tilly. Sorpresa e turbata, ha definito l’esperimento «terrificante», chiedendo apertamente alle agenzie di fermarsi: «Smettetela di portarci via la connessione umana». La sua battuta finale è stata lapidaria: «Ma noi abbiamo già Scarlett Johansson».

Intelligenza artificiale, nuove attrici virtuali e il futuro del cinema tra creatività e paura

Di fronte alla bufera, Eline Van der Velden ha preso parola direttamente sui social. «Tilly non è una sostituta di un essere umano, ma un’opera creativa, un pezzo d’arte», ha scritto, paragonando l’intelligenza artificiale a un «nuovo pennello» con cui ampliare il linguaggio del cinema. Animazione, marionette, CGI: tutte innovazioni che non hanno cancellato la recitazione dal vivo, ma hanno aperto nuove possibilità. «Sono un’attrice anch’io – ha aggiunto – e niente potrà mai togliere il mestiere e la gioia della performance umana».

Il paragone non è casuale: Van der Velden ha più volte ribadito che l’obiettivo è far diventare Tilly «la nuova Scarlett Johansson o Natalie Portman», segno di un’ambizione che va ben oltre il mero esercizio creativo. Durante la presentazione allo Zurich Summit, ha raccontato di come lo scetticismo iniziale di Hollywood stia lasciando spazio alla curiosità, con diversi agenti e società di rappresentanza interessati a inserirla in progetti reali. Al momento, però, Tilly non è stata scritturata in nessun ruolo concreto.

Intanto, lei stessa si presenta come un’attrice reale: sul sito professionale appare come stanziata a Londra, mentre su Instagram alterna provini digitali, inserimenti in film esistenti come Wonder Woman e sketch comici pensati per la BBC2. Non mancano momenti di vita quotidiana, studiati per renderla riconoscibile come “persona” al pari delle colleghe in carne e ossa.

Il caso Norwood mette in luce una tensione profonda: da un lato, l’industria vede possibilità narrative nuove e una gestione più economica delle star; dall’altro, gli attori temono un’erosione del mestiere, della rappresentanza e della componente umana che rende vivo il cinema. Ironia e sarcasmo sui social non bastano a mascherare il timore che si tratti dell’inizio di una rivoluzione destinata a riscrivere il concetto stesso di diva.