Curiosità

L’artista che fa dipingere l’AI senza dati: il caso unico di Terence Broad

La storia di Terence Broad e del suo esperimento radicale, dove un algoritmo genera immagini senza essere mai stato addestrato

Terence Broad è un artista e ricercatore londinese, con un dottorato in arti computazionali al Goldsmiths. Le sue opere sono state esposte in musei e gallerie come il Whitney, il Barbican e Ars Electronica, e il suo lavoro ha vinto premi internazionali. Ma quello che lo distingue da molti altri artisti che usano l’intelligenza artificiale è un approccio radicale: creare immagini senza nessun dataset di partenza.

Un esempio è l’opera (un)stable equilibrium, che a prima vista ricorda i quadri di Mark Rothko: campi di colore puri, che cambiano lentamente forma e tonalità. In realtà Broad non ha mai mostrato all’AI né Rothko né altri dipinti. Ha semplicemente modificato una rete neurale, bloccandola in un loop, così che iniziasse a generare immagini “dal nulla”.

La scelta di rinunciare ai dataset è nata da due esperienze precise. Prima, un lavoro poco stimolante a Milton Keynes, dove Broad passava le giornate a gestire enormi archivi di immagini di telecamere. Poi, i problemi legali seguiti a un suo progetto: aveva allenato un modello sul film Blade Runner (1982), ottenendo una versione distorta della pellicola. Il lavoro attirò l’attenzione dei musei, ma anche le diffide di Warner Bros. Quella pressione spinse Broad a cambiare direzione: non avrebbe più usato dati o opere di altri per i suoi progetti.

Come funziona un’AI che crea senza dati

La sfida di Broad era semplice da formulare ma difficile da risolvere: come far funzionare un’AI generativa senza mostrarle nulla da imitare? La risposta arrivò lavorando con le GAN (Generative Adversarial Networks). Invece di farle allenare su un dataset, Broad collegò due generatori tra loro, costringendoli a imitarsi a vicenda.

All’inizio il risultato erano solo macchie grigie. Poi, introducendo variazioni cromatiche, l’AI iniziò a produrre immagini più complesse e vibranti. Muovendosi nello “spazio latente” della rete era possibile ottenere un flusso infinito di nuove forme e colori.

Molti hanno paragonato questi lavori a Rothko, ma Broad sottolinea che il punto non è lo stile finale, bensì il processo. Non ha cercato di riprodurre un pittore, ma di mostrare che l’AI può generare immagini anche senza input esterni.

Il suo lavoro ha anche una valenza critica. In un’epoca in cui i grandi modelli vengono addestrati su miliardi di immagini prese dal web senza consenso, Broad mostra un’altra strada: usare l’AI non per copiare, ma per esplorare i suoi stessi meccanismi interni. Un modo per smontare il mito dell’intelligenza artificiale come entità misteriosa e onnipotente.

Che le immagini di (un)stable equilibrium siano davvero “creatività pura” è ancora un dubbio. Ma per Broad il mistero è parte integrante dell’opera: non serve spiegare ogni dettaglio, conta la possibilità di immaginare un uso dell’AI che sia al tempo stesso artistico, etico e libero da compromessi.

Andrea Segala

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