Il percorso del percussionista giapponese che trasforma un rullante in un universo sonoro, intrecciando minimalismo, rumorismo e performance.
Per comprendere Ryosuke Kiyasu bisogna abbandonare ogni aspettativa convenzionale. Nessuna batteria completa, nessuna elettronica, nessun accompagnamento: solo un rullante, due bacchette e un corpo che vibra, suda, si contorce, trasforma la fisicità in ritmo.
Nato a Tokyo, Kiyasu è un musicista e performer attivo dagli anni Duemila, già membro di band come Fushitsusha, Sete Star Sept, Kiyasu Orchestra e The Endless Blockade. Ma è con il suo progetto di “rullante solo” che ha trovato la voce più personale. L’idea nasce quasi per caso nel 2003, durante un soggiorno in Canada e negli Stati Uniti: il rullante era l’unico strumento che poteva portare con sé. Da quel limite logistico nasce una folgorazione estetica.
Il rullante diventa un’estensione del corpo, uno strumento di dialogo, uno spazio di esplorazione continua. Kiyasu ne cambia la tensione, lo percuote sul fusto, lo strofina, lo preme con le gambe per alterarne la vibrazione. “Il rullante è la cosa più naturale per me, posso dire che esso sono io stesso”, dichiara Kiyasu. E in effetti il suo modo di suonare non somiglia a nulla di conosciuto: c’è ritmo, ma anche silenzio; c’è violenza, ma anche ascolto. È una ricerca che si nutre di contrasti e microvariazioni.
La sua filosofia si lega ai ritmi antichi giapponesi, dove anche lo spazio tra le note diventa parte della composizione. Kiyasu lo descrive così: “Nei ritmi antichi si suonano anche gli spazi tra le note che non vengono usati nella musica occidentale”. Nella ripetizione, nella monotonia apparente, si apre uno spazio percettivo nuovo: “Durante la ripetizione di qualcosa di monotono, cambia un po’ qualcosa… sento i dettagli del suono”.
La dimensione performativa è inevitabile, ma Kiyasu non la cerca consapevolmente. “Non mi importa se viene percepita come una performance. L’importante è che l’espressione emotiva venga in superficie.” Ogni concerto diventa così un atto meditativo, in cui il gesto precede l’intenzione, e il suono è il riflesso immediato del corpo che lo genera.
Ryosuke Kiyasu tra rumore e musica, genio e follia
Quando Ryosuke Kiyasu sale sul palco, non recita: si immerge. I suoi movimenti sono convulsi ma precisi, l’espressione concentrata, la postura tesa come un arco. Non c’è ironia, non c’è estetizzazione: c’è una dedizione assoluta al gesto. È un atto di fede nel suono. Di fronte a un artista che suona dieci minuti di rullante sotto il sole di Ferragosto a Monte Sant’Angelo, il dubbio sorge spontaneo: sta davvero esplorando un linguaggio musicale alternativo, o sta semplicemente provocando?
La risposta, forse, è in bilico tra le due cose. Kiyasu è pienamente consapevole della radicalità del suo progetto: ha costruito nel tempo una discografia coerente, ma al tempo stesso rifiuta qualsiasi postura intellettuale. “Non ho mai saputo qual è la mia immagine ideale per il mio solo con il rullante. È qualcosa di naturale come respirare. Questa ambivalenza è il motore del suo lavoro. Ogni performance è un esperimento irripetibile: il suono si costruisce nel momento stesso in cui nasce. Kiyasu non mira alla perfezione ma all’esperienza. Non cerca di stupire, ma di scavare.
Dal Giappone al Gargano, da Seattle a Berna, Kiyasu ha trasformato il suo tour mondiale in un viaggio di connessione diretta col pubblico. “Il solo modo di trasmettere un suono dal vivo è incontrare la gente e suonare di fronte a loro.”
“La filosofia ‘less is more’ è l’idea alla base di tutta la mia musica preferita. Amare profondamente e suonare profondamente uno strumento è l’unica cosa che conta per me.” In un mondo dove tutto tende all’eccesso, Kiyasu rappresenta l’opposto: un artista che ha scelto di togliere finché non resta che l’essenziale. Il suo rullante è un microcosmo di vibrazioni, errori, respiro.