Cultura

La Sirenetta non finisce come pensi: il vero finale che Disney non ha mai raccontato

Dietro la dolce favola che tutti conosciamo si nasconde un racconto cupo, doloroso e spirituale, scritto da Hans Christian Andersen

Per chi è cresciuto negli anni ’90, La Sirenetta è sinonimo di Ariel, capelli rossi e melodie indimenticabili. Un cartone animato Disney che ha fatto innamorare grandi e piccoli, con un lieto fine che sembrava scritto apposta per rimanere nel cuore: l’amore trionfa, la malvagia Ursula viene sconfitta e la protagonista ottiene la vita che ha sempre sognato. Ma dietro questa versione edulcorata si cela un’origine molto diversa. La fonte è la fiaba che Hans Christian Andersen scrisse nel 1836, un racconto poetico e crudele al tempo stesso, in cui non c’è traccia dell’happy ending hollywoodiano.

Nella versione originale, la Sirenetta non ha neppure un nome. È la figlia più giovane del Re del Mare, e il suo desiderio più grande non è semplicemente l’amore di un principe: ciò che la spinge è la sete di un’anima immortale, privilegio che agli esseri umani è concesso ma che le sirene non possiedono. Possono vivere fino a trecento anni, ma alla morte si dissolvono come schiuma tra le onde, senza lasciare traccia. Il matrimonio con un uomo rappresenta quindi, per lei, la possibilità di salvezza eterna. E sarà proprio questo desiderio profondo a spingerla a compiere un patto terribile con la strega del mare.

La trasformazione ha un prezzo altissimo: rinunciare alla voce (la strega le taglia la lingua), non poter mai più tornare a essere sirena, e provare un dolore atroce a ogni passo, come se camminasse su lame affilate. Inoltre, se il principe avesse sposato un’altra, al sorgere del sole la Sirenetta sarebbe morta, dissolvendosi in mare. Nonostante queste condizioni disumane, la giovane accetta, consapevole che il martirio fisico è l’unico cammino verso il suo scopo.

Eppure il principe, descritto da Andersen come ingenuo e inconsapevole, non si innamora di lei. La chiama “trovatella” e la tratta come una creatura fragile da accudire, senza mai comprenderne la vera natura. Peggio: la Sirenetta sarà costretta persino a danzare al suo matrimonio con un’altra donna, pur sapendo che quell’unione segna la sua condanna definitiva.

Dolore, sacrificio, immortalità: il finale originale della Sirenetta

Il culmine della fiaba non potrebbe essere più cupo. Alla Sirenetta, sul punto di morire, le sorelle offrono un’ultima possibilità: un coltello con cui uccidere il principe. Se il suo sangue avesse bagnato i piedi della giovane, la coda sarebbe ricomparsa e lei avrebbe potuto tornare a vivere in mare, pur rinunciando all’anima. Ma la Sirenetta rifiuta. Non può macchiarsi di un omicidio, neppure per salvarsi. E così, all’alba, si getta tra le onde pronta a dissolversi.

È qui che Andersen sorprende: la morte non arriva. La protagonista viene invece accolta dalle Figlie dell’Aria, creature eteree che le offrono una nuova possibilità. Non ha conquistato un’anima immortale tramite il matrimonio, ma potrà ottenerla compiendo buone azioni per trecento anni. Ogni gesto di bontà le accorcerà il tempo, ogni lacrima di un bambino cattivo lo prolungherà. La Sirenetta, finalmente, può piangere per la prima volta e saluta il principe senza rimpianti, salendo verso il cielo con le nuove compagne.

Andersen voleva addirittura intitolare la sua fiaba “Le Figlie dell’Aria”, per sottolineare che il vero centro della storia non è l’amore romantico, ma il percorso verso la completezza spirituale. La felicità della protagonista non dipende più dal principe, ma dalla sua capacità di sacrificio e dalla conquista, lenta e dolorosa, di un’anima.

Questa differenza abissale spiega perché, come accaduto anche ad altre fiabe (pensiamo al Pinocchio di Collodi), la versione Disney abbia sostituito quasi del tutto l’originale nell’immaginario collettivo. Ma conoscere il finale autentico di Andersen significa restituire a questa storia la sua profondità: una parabola di dolore, rinuncia e trascendenza, che non parla solo di amore terreno, ma del desiderio universale di non svanire nell’oblio.

Andrea Segala

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