Dalla Francia del Cinquecento all’Ungheria degli anni Trenta: la vera storia di uno dei giochi più famosi al mondo
Tutti, almeno una volta, hanno provato a giocare a Sciangai (o Shanghai, o Mikado). Un mucchietto di bastoncini caduti a ventaglio, un tavolo, mani ferme e un silenzio teso come un filo: basta questo per trasformare un gesto semplice in una prova di abilità e concentrazione. Eppure, dietro questa apparente semplicità, si nasconde una storia intricata, che attraversa secoli e paesi e che, contrariamente a quanto suggerisce il nome, non ha nulla a che vedere con la Cina.
Il gioco consiste in 41 bastoncini di circa 17 centimetri, solitamente di legno, decorati con bande colorate che ne determinano il valore in punti. L’obiettivo è sfilare, uno alla volta, quanti più bastoncini possibili senza muovere gli altri. La concentrazione è tutto: un solo tremolio, un minimo spostamento della pila, e il turno passa al giocatore successivo.
Il primo bastoncino va raccolto con le dita, ma una volta conquistato il diritto di usarlo come leva, lo si può impiegare per liberarne altri, con tocchi precisi e pazienti. Ogni colore vale un punteggio diverso: nelle versioni più diffuse, il bastoncino nero (detto Mikado) vale 20 punti, i blu-rosso-blu ne valgono 10, i rosso-blu-rosso-blu-rosso 5, i blu-giallo-rosso 3, e i blu-rosso solo 2. Alla fine, si sommano i punti dei bastoncini raccolti, e vince chi totalizza il punteggio più alto.
Ma se le regole sono chiare e quasi universali, l’origine del gioco è un rebus. E il nome “Sciangai” – scelto forse per evocare un generico fascino orientale – è uno dei più grandi equivoci della storia dei giochi da tavolo.
L’idea di raccogliere bastoncini senza far muovere gli altri affonda le radici nell’Europa del XVI secolo. In Francia, già nel Rinascimento, si giocava ai Jonchets: piccoli bastoncini d’avorio, osso o legno, decorati e caduti sul tavolo per poi essere recuperati con estrema delicatezza. Era un passatempo aristocratico, un esercizio di grazia più che di fortuna, molto apprezzato nei salotti dell’epoca.
Nel Novecento, il gioco ricompare nell’Europa centrale con un nuovo nome: Marokko. Diffusissimo in Ungheria, viene esportato nel 1936 negli Stati Uniti, dove per ragioni commerciali si decide di ribattezzarlo Mikado, titolo che richiama l’imperatore del Giappone e che gli conferisce un’aria esotica e misteriosa. Da lì, il termine “Shanghai” (poi italianizzato in Sciangai) diventa sinonimo del gioco stesso, anche se nessun legame reale con la città cinese esiste.
A supporto di questa tesi, alcuni storici del gioco ricordano che in Cina non esiste traccia documentata di un passatempo simile prima del Novecento. Solo negli anni Settanta, con l’importazione occidentale del Mikado, si diffonde anche lì una versione “cinese” dello Sciangai, chiudendo ironicamente il cerchio del fraintendimento culturale.
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