Che fine ha fatto Sergio Cofferati, il sindacalista che riempì il Circo Massimo

Un tempo simbolo della sinistra sindacale e nemico numero uno di Berlusconi, oggi Sergio Cofferati vive a Genova lontano dai riflettori

C’è stato un tempo in cui il nome di Sergio Cofferati evocava folle immense, scioperi generali, appelli televisivi e un sindacato che dettava l’agenda politica del Paese. Era l’Italia dei primi anni Duemila, attraversata da tensioni sociali e dal conflitto aperto sullo Statuto dei lavoratori. In quel contesto Cofferati, allora segretario generale della CGIL, divenne un punto di riferimento per una sinistra che cercava voce e identità.

La sua leadership si consolidò il 23 marzo 2002, con la manifestazione al Circo Massimo: una marea umana in difesa dell’articolo 18 e contro il tentativo del governo Berlusconi di modificarlo. Un evento che segnò la storia del movimento sindacale italiano. “Tre milioni di persone”, gridavano i titoli dei giornali. Per molti, fu il momento in cui il “Cinese” (soprannome guadagnato per la disciplina e il rigore) sembrò incarnare la coscienza civile del Paese.

Dopo la fine del mandato alla CGIL, nel 2002, Cofferati provò la via della politica amministrativa: nel 2004 fu eletto sindaco di Bologna, riportando la città “rossa” a sinistra dopo l’intermezzo di Giorgio Guazzaloca. Ma il governo cittadino si rivelò più difficile del previsto. Le sue politiche per la legalità suscitarono numerose critiche, tracciando un profilo di amministratore severo e pragmatico.

Conclusa l’esperienza bolognese, scelse l’Europa: due mandati come europarlamentare del Partito Democratico, tra il 2009 e il 2019. Nei corridoi di Bruxelles difese i consumatori, il mercato interno e i diritti sociali, mentre in Italia il suo partito cambiava pelle. Quando arrivò il renzismo, con la retorica della “rottamazione”, Cofferati apparve un uomo di un’altra epoca. La rottura definitiva arrivò nel 2015, dopo le primarie liguri che lui stesso definì “inquinate e manipolate”. Lasciò il PD denunciando “la distruzione dei valori fondativi del partito”.

Da lì iniziò una fase diversa: Sinistra Italiana, Liberi e Uguali, la candidatura nel 2018 e poi un lungo silenzio. Solo riflessione, lettura, e un progressivo ritiro dalle prime linee. “La politica è arrivata dopo i movimenti”, avrebbe detto più tardi. Forse anche dopo la delusione.

Il rifugio di Cofferati a Genova e il ritorno al PD

Oggi, a settantasette anni, Sergio Cofferati vive a Genova, dove ha scelto di restare dopo la fine del mandato europeo. La città dei porti e del vento è diventata per lui il luogo perfetto per osservare da vicino un’Italia cambiata, e forse più fragile. Niente cariche, niente uffici: solo una casa, una biblioteca, e una presenza discreta ma costante nei dibattiti civili.

Nel 2023 ha annunciato, con un’intervista a La Repubblica, il ritorno nel Partito Democratico. Non come ritorno alla ribalta, ma come “gesto politico e morale”. “Con la segreteria di Elly Schlein – ha detto – si è chiusa definitivamente la stagione renziana. È tornato il tempo del confronto e dell’ascolto.” Parole che suonavano come una mano tesa, ma anche come un monito: la sinistra, per rinascere, deve tornare a essere comunità.

Da allora partecipa a incontri pubblici, conferenze e dibattiti. Lo si è visto nei teatri di Parma e Bergamo parlare del nuovo Statuto dei lavoratori, sostenendo che “le tutele del 1970 non bastano più” e che “i precari, i rider devono essere parte di un nuovo patto sociale”. Sul piano politico, non risparmia critiche: “Il sindacato ha smarrito la capacità di rappresentare chi non ha voce. E la politica, invece di colmare il vuoto, ha imparato ad adattarsi.” E quando parla della violenza nelle piazze o dei nuovi movimenti sociali, invita alla cautela: “Non possiamo leggere il presente con le categorie del Novecento. Queste manifestazioni non nascono da partiti o sindacati, ma da un sentimento diffuso. Se non lo capisci, lo perdi.”

Nelle interviste più recenti ha confessato una “nostalgia del PCI”, ma non per ideologia: “C’era un’idea dello stare insieme, della solidarietà quotidiana. Oggi la società è frammentata, ognuno vive per sé.” Parole che raccontano più un lutto collettivo che personale: quello per una sinistra che ha smarrito il senso del noi. Eppure, Cofferati non appare disilluso. Continua a scrivere, a studiare, a commentare.

A settantasette anni, Sergio Cofferati non è scomparso: si è solo spostato altrove, in una zona più appartata ma non muta. Non ha scelto l’esilio né la ribalta. Non cerca più di guidare, ma continua a rappresentare una memoria viva della sinistra sindacale e riformista italiana.