La storia di Dante Benedetti, prodigio dell’home schooling: moda passeggera o avanguarde didattica?

Casi come quello di Dante Benedetti e il forte aumento dei numeri ci fanno chiedere se sarà questo il futuro dell’educazione scolastica.

Se recentemente avete letto la storia di Dante Benedetti e avete associato la sua bravura all’home schooling, sappiate che non siete gli unici.

Dante è un bambino prodigio che a soli 10 anni ha vinto il premio letterario “Carlo Bo – Giovanni Descalzo” con una poesia scritta di suo pugno. La cosa sorprendente? Non è mai andato a scuola.

Parla con scioltezza e maestria, ha una proprietà di linguaggio spesso estranea anche agli adulti. Legge Tolstoj, è amante della musica classica. Ma a insegnargli tutto ciò non sono le aule scolastiche, bensì gli insegnamenti della madre Marta. È proprio lei a rivelarlo nelle interviste, attribuendo la scelta in primis alla loro vita in montagna e in seguito alla pandemia da Covid-19.

Viene dunque naturale chiedersi se sia proprio l’home schooling ad aver fatto la differenza nel suo percorso. Questa pratica però è tutto tranne che oziosa, ma soprattutto più diffusa di quel che si pensi.

Una ricerca condotta dall’associazione LAIF nel 2024 infatti rivela infatti un aumento del 200% degli studenti che studiano a casa, passando da 5.126 nell’anno accademico 2018-19, a ben 15.361 nel 2020-21.

Sempre più persone preferiscono affidarsi all’insegnamento parentale, e non è stato solo il Covid a giocare un ruolo chiave in questa crescita.

Il motivo principe che spinge in questa direzione è soprattutto la possibilità di poter personalizzare incredibilmente l’insegnamento allo studente. Ritagliare quindi su misura le attività didattiche per adattarle in maniera specifica all’alunno, e incrementare tutti gli strumenti extradidattici per cui solitamente a scuola non si trova il tempo. La vita quotidiana diventa essa stessa scuola di vita.

L’home schooling in Italia: come funziona? In cosa consiste?

Come abbiamo detto, l’home schooling però non è sinonimo di pacchia. Prima di tutto, l’educazione parentale è una pratica completamente legale in Italia. È necessario però possedere le competenze tecniche ed economiche per poterla sostenere. Quindi i genitori devono essere capaci e propensi all’insegnamento, oppure poter finanziare un insegnante privato.

La famiglia è inoltre tenuta a mantenere i contatti con il preside della scuola di riferimento, a cui devono presentare una dichiarazione della propria scelta. Non solo, ma è necessario inoltre consegnare il piano didattico per l’anno accademico, a cui è fondamentale attenersi.

Non finisce qui: ogni anno lo studente deve superare un esame d’idoneità che testimoni l’effettivo completamento del progetto didattico, ma soprattutto il raggiungimento del livello educativo dei propri coetanei.

Insomma, non un percorso semplice, a cui sicuramente deve essere dedicato molto impegno.

E la socializzazione? Si tratta di un tema ancora dibattuto: chi si mostra contrario critica fortemente l’educazione parentale proprio per la mancanza di confronto dei bambini e ragazzi con i propri coetanei. Chi invece si mostra favorevole, fa leva principalmente sull’importanza di creare rapporti con la propria famiglia, e in senso più allargato con la propria comunità. In questo ambiente i bambini sono stimolati a interfacciarsi a persone di diverse fasce d’età, educando il bambino dunque a saper interagire non solo con la loro generazione.

Insomma, i pro e i contro sono tantissimi, ma ciò che deve sempre rimanere il nostro focus è il meglio delle generazioni a venire. Sarà davvero questo il futuro dell’educazione scolastica?