Asfissiati e privi di sole: le terrificanti condizioni della prigione israeliana di Rakefet

Tra le brutali testimonianze dei detenuti palestinesi liberati, fanno rabbrividire quelle legate alla terribile prigione sotterranea.

Sono circa 6000 i palestinesi imprigionati nelle carceri israeliane. Da metà ottobre, quando è scattato il cessate il fuoco, fino ad oggi, sono stati liberati attorno ai 2000 detenuti, come previsto dal piano di pace voluto da Donald Trump.

Ben 1.722 persone però sono state arrestate negli ultimi due anni senza alcun tipo di affiliazione agli attacchi del 7 ottobre, o a Hamas e Hezbollah.

In queste settimane si sono diffusi i racconti di questi ex prigionieri, che parlano di torture, pestaggi, mutilazioni, violenze e stupri di gruppo perpetrati dalle guardie carcerarie israeliane. E scioccano invece i rapporti del Ministero della Salute di Gaza, che ha ricevuto le salme di 120 carcerati, spesso irriconoscibili. Si tratta di corpi con segni evidenti di tortura, alcuni addirittura evidentemente sbranati dai cani poliziotto, così come salme senza organi quali reni, fegati e cornee.

C’è una prigione però, i cui racconti sono ancora più terrificanti e le condizioni disumane. Si tratta della prigione di Rakefet. A renderla immensamente brutale, è il fatto che sia completamente interrata.

“Non vediamo il sole da Gennaio”

Si tratta di un complesso costruito inizialmente negli anni ’80. Doveva essere un carcere di massima sicurezza per circa 15 detenuti ritenuti altamente pericolosi appartenenti alla criminalità organizzata. Fu in realtà chiuso quasi immediatamente, proprio per le condizioni considerate altamente inumane.

Il carcere è però stato riaperto a seguito dell’attacco del 7 ottobre, dal Ministro Ben-Gvir, con l’obbiettivo di rinchiuderci esponenti “elitari” di Hamas e Hezbollah, e nonostante le liberazioni, si stima che si trovino ancora al suo interno un centinaio di detenuti, molti di più di quelli che potrebbe ospitare.

Vi si trovano persone incarcerate nella maggior parte dei casi senza accuse e senza processo: a molti di essi è stato semplicemente detto che sarebbero rimasti “fino alla fine della guerra”.

Le celle sono sotterranee, senza alcun tipo di luce naturale, così come alcuna ventilazione. L’unico spazio aperto rispetto al confino delle celle è un piccolo cortile utilizzato raramente, e la meeting room per gli avvocati, spesso non benvenuti: tutte aree comunque interrate.

Ovviamente la mancanza di luce naturale o di aria fresca può avere conseguenze devastanti sul nostro organismo, sia a livello fisico che mentale. La ONG PCATI, la Public Committee Against Torture in Israel, è riuscita ad ottenere la rappresentanza di due uomini detenuti all’interno di Rakefet, un infermiere di 34 anni ancora nella sua divisa, e un giovane venditore arrestato ad un checkpoint.

L’avvocato affidato dalla ONG, Janen Abdu, insieme a un collega, Saja Misherqi Baransi, hanno avuto la possibilità di visitarli questa estate, toccando con mano la realtà quotidiana di questi prigionieri.
Circondati da telecamere di sorveglianza che violavano il diritto internazionale alla confidenzialità, sono stati più volte minacciati di essere scortati fuori qualora avessero nominato le famiglie dei detenuti o la guerra a Gaza.

La prima domanda dell’infermiere è stata: “Dove sono e perché mi trovo qui?”. I due prigionieri hanno parlato di celle con almeno quattro o cinque persone, in cui spesso si annaspa proprio per la mancanza di circolazione dell’aria. Hanno raccontato pestaggi, attacchi da cani con museruole di ferro, calpestamenti da parte delle guardie, ovviamente accompagnate dalla negazione di cure mediche e razioni di cibo e acqua appropriate.

Uno dei due prigionieri rappresentati è stato ad oggi rilasciato sotto gli accordi di cessate il fuoco. Gli altri si trovano ancora all’interno del carcere.

L’IPS, Israel Prison Service, ha dichiarato che le prigioni: “operano in accordo con la legge e sotto la supervisione di controllori ufficiali.”