La storia di un luogo fuori da qualsiasi amministrazione pubblica, ma testimonianza della resilienza dei migranti in Italia.
In Italia esistono dei luoghi fantasma, che non si trovano nelle mappe, ma che sono quanto più vivi e tangibili. Insediamenti informali, ghetti, baraccopoli, questi alcuni dei nomi di tantissimi agglomerati abitati da migranti stagionali, nella maggior parte clandestini, e con contratti di lavoro illegali o semi-legali.
Non esistono dati precisi su quanti siano e quante persone accolgano, ma un’analisi dell’ONG ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani), stima la presenza di 150 insediamenti informali, distribuiti in 38 comuni nel territorio nazionale.
Il FLAI-CGIL (Federazione dei Lavoratori dell’AgroIndustria) ha infine stimato pe il 2024 ben 898.515 lavoratori agricoli nel 2024, con un tasso di irregolarità del quasi 70%. Ben 377 mila sono migranti. Almeno 100 mila di essi vivono in questi insediamenti informali.
Ce n’è uno però che continua a fare i titoli di giornale, e che a suo tempo ha rischiato di essere demolito dalle ruspe dell’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini: si tratta della più grande baraccopoli in Italia, Borgo Mezzanone.
Vivi, ma abbandonati dallo Stato
Borgo Mezzanone è una frazione del comune di Menfredonia, in provincia di Foggia, che conta più o meno 400 anime, ma nelle sue campagne è sorto un altro centro abitato, che di anime ne conta più del triplo, tra le 3 e 5 mila.
Ai lati della pista dell’ex aeroporto militare, ormai in disuso da decenni, si affacciano le abitazioni di migranti, braccianti, richiedenti asilo.
La sua storia nasce insieme a quella del centro accoglienza che si trova lì di fianco, il CARA, inaugurato nel 2005: molte delle persone accolte nel centro, che ospita 150 posti letto, una volta terminato il loro permesso, hanno iniziato a costruire le loro case improvvisate attorno alla recinzione. Attraverso un buco nella rete perimetrale, accedevano ai loro servizi igienici.
Ora sempre più persone decidono di stanziarsi a tempo indeterminato in quella che è diventata una vera e propria cittadina. I lavoratori agricoli, sotto caporalato, che un tempo seguivano le stagioni di raccolta nelle varie regioni d’Italia, decidono sempre più spesso di trasferirsi lì, spesso nella speranza di trovare, anche con l’aiuto del centro, lavori regolari e ottenere così permessi di soggiorno.
Proprio per questo è sempre più frequente trovare non più case di lamiera con tetti di plastica, ma vere e proprie case in muratura. Purtroppo a ostacolare gli abitanti di questo insediamento ci sono condizioni insostenibili. Nonostante infatti i diversi progetti di regolarizzazione chiesti dalla stessa comunità e in teoria previsti dal PNRR del governo Draghi, il centro continua a rimanere a tutti gli effetti inesistente a livello amministrativo. Le conseguenze sono la mancanza di corrente elettrica, spesso ottenuta con generatori o allacci di fortuna, l’assenza di acqua, portata una volta ogni due settimane con autocisterne, e l’incenerimento dei rifiuti che non vengono ritirati. Le uniche cure mediche a disposizione sono quelle garantite dalla clinica medica dell’ONG Intersos che si trova ai suoi confini: se non ci fosse, molte persone, spesso ferite nei campi e non tutelate, non si curerebbero, proprio per paura di essere espulse qualora uscissero dalla baraccopoli.
La storia di Borgo Mezzanone però non è solo la storia di un “ghetto” abbandonato dall’Italia, già parzialmente demolito nel 2019 dalle famose ruspe di Salvini. La sua è soprattutto una storia di resilienza, di comunità, di risorse e capacità di adattamento. È la storia di una piccola cittadina che ha creato le sue attività, i suoi bar e i suoi punti ristoro, che ha eretto tre moschee e una chiesa evangelica, che ha la sua amministrazione interna e i suoi punti di ritrovo e aggregazione.
Ma soprattutto, è la storia di persone che hanno creduto nella migrazione per un futuro migliore, pure forgiandoselo da soli.