I “lifetime deals” blindano per sempre l’immagine dell’atleta a Nike. Ecco chi li ha firmati (con date e cifre note) e come funzionano
Quando Nike annuncia un contratto “a vita” con un atleta, non è un’iperbole. Il colosso di Beaverton usa questa formula in casi rarissimi, destinati a legare per sempre il nome dell’atleta al marchio. In quarant’anni di storia ne ha concessi soltanto quattro: Michael Jordan, LeBron James, Cristiano Ronaldo e Kevin Durant. È un club minuscolo, fatto di figure che non rappresentano solo lo sport, ma un immaginario culturale e commerciale globale.
Il primo caso, anche se mai definito formalmente come “lifetime deal”, è quello di Michael Jordan. Quando nel 1984 firmò con Nike, nessuno poteva immaginare che il suo nome sarebbe diventato un marchio autonomo. Con la nascita di Jordan Brand nel 1997, Nike creò una divisione interna capace di fatturare miliardi di dollari l’anno. È un legame che dura tuttora, un esempio perfetto di come un atleta possa continuare a generare valore ben oltre la carriera agonistica.
Il primo vero “contratto a vita” ufficiale arriva nel 2015, con LeBron James. Nike parla allora di un accordo “destinato a produrre valore per decenni”, il più importante mai firmato da un atleta con il marchio. Secondo le stime, la cifra complessiva potrebbe superare il miliardo di dollari. LeBron, con la sua linea di scarpe già da anni fra le più vendute, rappresentava per Nike la continuità dell’eredità di Jordan: un’icona riconoscibile in ogni continente.
Nel 2016 tocca a Cristiano Ronaldo, primo e unico calciatore ad aver ottenuto un contratto di questo tipo. L’accordo, secondo le ricostruzioni più accreditate, vale anch’esso circa un miliardo di dollari. Solo nel 2016, la visibilità mediatica del portoghese avrebbe fruttato a Nike oltre 500 milioni in ritorni pubblicitari. CR7, con la sua presenza costante sui social e una fanbase planetaria, incarna il testimonial perfetto: capace di parlare a pubblici diversi e di generare profitto anche fuori dal campo.
L’ultimo ingresso in questo ristretto gruppo è quello di Kevin Durant, annunciato nel 2023. La sua collaborazione con Nike dura dal 2007, ma la decisione di trasformarla in un accordo permanente segna un ulteriore riconoscimento alla sua influenza sportiva e culturale. Le scarpe KD sono tra le più longeve della NBA, e Durant è visto come un ambasciatore credibile, in grado di unire performance e immagine pubblica.
Perché Nike firma così pochi contratti a vita
La rarità di questi accordi racconta molto del modo in cui Nike costruisce il proprio potere simbolico. Un contratto a vita non è un semplice premio o un gesto di fedeltà: è una strategia industriale. Significa scommettere sulla capacità di un atleta di restare rilevante anche dopo il ritiro, di incarnare un valore stabile, un’estetica, un racconto.
Un atleta legato “per sempre” diventa una sorta di marchio nel marchio. Nel caso di Jordan, la relazione ha generato una linea indipendente; con LeBron, Nike ha consolidato la sua leadership nel basket moderno; con Ronaldo ha guadagnato il volto più riconoscibile del calcio mondiale; con Durant, ha puntato sulla continuità e sull’eredità tecnica. Tutti e quattro condividono una caratteristica: la loro influenza va oltre i risultati sportivi. Vendono un’idea di eccellenza, disciplina, aspirazione.
C’è anche una componente di calcolo economico. Un lifetime deal consente a Nike di evitare il rischio che il testimonial più redditizio passi a un concorrente. Al tempo stesso, crea un archivio permanente di prodotti e immagini che possono essere rilanciati nel tempo, come avviene per le Air Jordan o le prime linee LeBron. È una forma di investimento patrimoniale, più che pubblicitario.
Naturalmente comporta anche rischi: l’immagine dell’atleta va mantenuta pulita, coerente, credibile. Un incidente di reputazione può riflettersi direttamente sul marchio. Per questo Nike seleziona pochissimi nomi, preferendo figure che abbiano già dimostrato stabilità, professionalità e una certa distanza dagli scandali.
Questi contratti sono, in fondo, un modo per fermare il tempo. Nike li usa per trasformare lo sportivo in un simbolo eterno, in una figura che trascende la carriera e diventa parte della cultura popolare. È per questo che, a quarant’anni dal primo Air Jordan, il baffo Nike resta associato non solo alla prestazione, ma al mito.