Antonio Rampino ci pone al centro di un dibattito etico lungo millenni, non per trovare risposte, ma per spingerci alla medesima riflessione.
Il 16 ottobre, al foyer del Teatro di AncheCinema a Bari, si è tenuta la presentazione del primo libro di Antonio Rampino, medico psichiatra e professore associato dell’Università degli studi di Bari.
In un dialogo aperto con la giornalista Lucia Oliveri, Rampino parla del suo esordio: un giallo intricato, che vede come protagonista lo psichiatra di 53 anni Aldo Masi.
Direttore del reparto di psichiatria dedicato agli autori di reato, Masi è tormentato, quasi ossessionato da un dilemma che diventa il fulcro dell’intero libro: quando e quanto si possono separare criminalità e disturbo mentale?
L’azione romanzesca prende il via con l’arrivo in reparto del Magistrato Montegallo, accusato di un crimine indicibile, ma circondato da un enigma irrisolvibile.
Masi, con la collaborazione dei giovani allievi Antonio e Alice, cerca di fare luce sul mistero che avvolge il Magistrato, in quello che finisce per essere un percorso estremamente formativo, tanto quanto travagliato e provante.
Il debutto romanzesco di Rampino si pone al centro di un dibattito etico che va avanti dall’inizio della storia dell’uomo: dove si trova il confine tra criminalità e malattia? Siamo solo il risulato della nostra genetica? Quando la malattia diventa alibi di azioni terribili? Siamo davvero noi i padroni della nostra mente, o è lei che ci comanda?
Chi è Antonio Rampino? Da dove arriva l’ispirazione?
Antonio Rampino ha una carriera di oltre 15 anni nella ricerca psichiatrica, e in particolare è stato proprio coordinatore del “Laboratorio di Psichiatria Molecolare e Genetica”, che si occupa precisamente degli studi genetici ed epigenetici sulle malattie mentali, e in particolare schizofrenia e disturbo bipolare.
Inoltre, per tanti anni si è occupato dell’insegnamento di “Genetica in Psichiatria” nella Specializzazione dell’Università degli Studi di Bari.
Non è difficile, insomma, vedere da dove Rampino ha tratto l’ispirazione per il suo primo libro. Il tema è proprio il suo campo di expertise, a cui ha dedicato anni di studi e sacrifici.

E quindi i dubbi, i quesiti morali che dissemina nel libro non sono solo quelli del protagonista Aldo Masi, ma sono i suoi stessi personali, derivati da anni di riflessioni legate alla sua stessa professione.
Questi quesiti però, non cercano nel romanzo una risposta. L’obbiettivo di Rampino, che sceglie proprio la forma del giallo, e non del saggio, per trattare fondamentalmente di un tema filosofico, è proprio quello di trovare il modo più semplice di instillare gli stessi dubbi ai lettori.
La scelta è provocatoria: è molto facile, davanti a un notiziario che riporta l’ennesimo reato, puntare il dito contro chi soffre di un disturbo psichico; è molto più difficile, invece, vedere, capire e accettare la sua infermità.
Il romanzo, in questo caso, è il mezzo perfetto per costringere il lettore a incamminarsi nelle vie delle menti umane, quelle sane e quelle che non lo sono. Lo obbliga a empatizzare con chi di solito escluderebbe dalla propria umanità.
Infine, la scelta di trattare la pedofilia, un argomento estremamente delicato, ma necessario: Rampino lo affronta in maniera competente, senza renderlo scabroso, ma evidenziando, come in tutto il libro, il conflitto umano dei personaggi, tra odio e repulsione, e la freddezza della professionalità che bisogna mantenere.
Insomma, un libro pungente, che ci sfida a entrare in un mondo tanto complesso, quanto spesso ignorato nella nostra quotidianità.