Una piccola lente di ingrandimento sulla vicenda dell’inventore di uno dei piatti più discussi della storia gastronomica.
Non fatevi ingannare dal nome: la Hawaii Pizza è tutto tranne che hawaiana. E per quanto si pensi che sia solo un trend recente o una moda passeggera, in realtà la sua è una storia molto più profonda, che deve le sue radici all’esperienza di un immigrato.
Ci troviamo infatti in Canada, negli anni ’60. Siamo nel pieno di una serie di flussi migratori che partono soprattutto dall’Europa del sud, verso le Americhe. Tra di essi, c’è anche il greco Sam Panopoulos, un giovane ragazzo, appena ventenne, arrivato ad Halifax, in Nova Scotia, nel ’54.
Come per molti immigrati, il lavoro inizia nelle miniere in Ontario, ma è proprio lì che inizia a scoprire la tradizione della pizza. Nel frattempo, decide di iniziare a cambiare le proprie sorti, e insieme ai due fratelli apre un ristorante, il Satellite, in cui serve piatti tipici del cibo veloce americano, come hamburger e hot-dog, e piatti asiatici occidentalizzati. Dopo un viaggio a Napoli nel ‘60 però, ha la prima illuminazione: iniziare a servire pizza nel suo locale.
All’epoca i gusti, soprattutto per il pubblico americano, erano abbastanza ridotti: margherita, salame piccante, prosciutto o funghi. Lui e i fratelli sono giovani, e hanno voglia di sperimentare con gli ingredienti, creando combinazioni insolite, soprattutto ispirate alla tradizione culinaria asiatica, famosa proprio per i suoi accostamenti agrodolci.
Nel ’62 arriva la seconda illuminazione: prendono dell’ananas in scatola, e lo aggiungono ad una comunissima pizza col prosciutto. Il risultato li fa impazzire: prima la provano loro, poi iniziano a venderla nel ristorante. Da lì a breve, sarebbe diventato un successo culinario che avrebbe riscritto la storia della tradizione pizzaiola.
Cos’è che rende la pizza hawaii tanto odiata (ma tanto buona)
Nonostante l’enorme successo del piatto, la pizza hawaiana (così chiamata proprio per l’esoticità dell’ingrediente) è stata calamita di apprezzamenti tanto quanto di critiche.
Chi la ripudia, in Italia ma non solo, in realtà fa riferimento a tre motivi principali:
–la frutta non va sulla pizza;
–rende la pizza troppo umida;
–e infine non sta bene col pomodoro.
In realtà questi punti sono facilmente confutabili: che la frutta non vada sulla pizza è una frase più eretica dell’aggiunta stessa dell’ananas, se si pensa per esempio alla celeberrima pizza romana prosciutto e fichi, o alla zola e mele. Il segreto sta proprio nella differenza di sapori, che contrastano armoniosamente, creando un connubio agrodolce che continua a conquistare gli italiani.
Che possa rendere la pizza troppo umida, questo sta alle mani del pizzaiolo e alla scelta delle materie prime: se si sceglie dell’ananas fresco e di prima qualità, il rischio non si pone; diverso se si usa quello in scatola.
E infine, la pizza hawaiana è vincente proprio perché calza a pennello con il pomodoro. A spiegarlo è la chimica infatti. Chi promuove questa critica pensa sicuramente al frutto crudo, noto per essere un mix di acidità e dolcezza. Ma ciò che non viene tenuto in considerazione, è che l’ananas viene cotto a più di 200° insieme alla pizza, e in cottura perde completamente l’acidità, mantenendo invece il sapore dolce, e raggiungendo note molto più simili alla nocciola. Quindi, in questo modo, contrasta perfettamente l’acidità della salsa di pomodoro.
Si sa, l’odio per questa pizza viene più dai nostri connazionali che dall’estero, ma a scapito di questa bigotteria culinaria, sempre più ristoranti, anche stellati, decidono di aggiungerla al loro menù, a dimostrazione del fatto che la combinazione è azzeccata, e il piatto richiesto.
Sam Panopoulos non ha mai brevettato la sua invenzione, e negli anni ’80 ha venduto il ristorante dov’è nato uno dei piatti più controversi della storia gastronomica.