Poeta, profumiere e viaggiatore dell’anima: chi è Meo Fusciuni. Con “Ovunque” firma un romanzo sensoriale che attraversa memoria, luoghi e profumo.
C’è chi racconta storie con le parole e chi con le immagini. Meo Fusciuni — al secolo Giuseppe Imprezzabile — appartiene a quella categoria rara che riesce a farlo con gli odori. O meglio: con ciò che degli odori resta dentro di noi.
Originario di Mazara del Vallo, Fusciuni ha costruito un percorso singolare, quasi sospeso tra scienza e spiritualità. Dopo gli studi in Chimica ed Erboristeria all’Università di Parma, ha trasformato il suo bagaglio scientifico in un linguaggio personale: la profumeria artistica.
Nel 2010 nasce il progetto che porta il suo nome, una piccola bottega d’autore diventata, nel tempo, un marchio celebrato in tutto il mondo.
Le sue fragranze non “profumano”: evocano. Raccontano città, memorie, persone, ferite, attese. Non sorprende quindi che, negli anni, il suo talento abbia raccolto riconoscimenti importanti: finalista agli Art and Olfaction Awards di Los Angeles nel 2023, vincitore del Premio Accademia del Profumo 2024 come Miglior Profumo Artistico dell’Anno, e insignito del titolo di Maestro Profumiere dal MAM.
Chi lo conosce, o ha semplicemente annusato uno dei suoi lavori, sa che ogni fragranza è un racconto. Era quasi inevitabile che, prima o poi, quelle storie diventassero un libro.
“Ovunque”: quando un romanzo si può respirare
“Ho sempre creato per cercare un luogo dove nascondermi, dove ritrovare me stesso…”
È da questa frase che prende forma Ovunque, il suo nuovo romanzo: un’opera intima, poetica, sospesa tra memoria, viaggio e identità.
Non è una semplice autobiografia. Non è un diario di viaggio. E nemmeno un romanzo classico.
Ovunque è più simile a un’esperienza: la narrazione procede come un respiro che si allunga e si accorcia, guidato da sensazioni più che da eventi.
Il protagonista — evidente alter ego dell’autore — attraversa luoghi che esistono nella geografia e altri che appartengono solo alla memoria: la Sicilia delle radici, il Nord Europa, Istanbul, Varanasi.
Ogni tappa è un frammento di vita.
Ogni frammento ha un odore.
E ogni odore custodisce una storia.
La scrittura di Fusciuni è contemplativa, lenta, quasi rituale. Le pagine si muovono tra immagini e sensazioni: il tabacco che brucia, la pioggia che picchia su una pietra calda, il mare che cambia colore, la polvere del caffè, il vento.
Non c’è mai una descrizione fine a se stessa: tutto rimanda a un ricordo, a un’assenza, a un tentativo di riconciliarsi con ciò che siamo stati.
È una sorta di mappa emotiva in cui l’“ovunque” diventa un posto che non coincide con un punto del mondo, ma con un punto della propria storia personale.
Un libro che parla della fragilità della memoria, del confine sottile tra perdita e ritrovamento, di ciò che resta quando il resto svanisce.
Tra poesia, viaggio e profumo: la lingua unica di Fusciuni
Il fascino del romanzo sta anche nel modo in cui l’autore intreccia temi che raramente convivono nella stessa pagina: viaggio, spiritualità, amore, radici, odori, filosofia.
È una scrittura che non vuole spiegare: vuole far sentire.
Non è un caso che la frase più potente del libro — quasi una dichiarazione di poetica — dica così:
“All’interno del nostro sguardo, restiamo immobili, per mantenere rigido il nostro corpo. Immuni al dolore, legati al tubolare del senso.”
Un’immagine che è già un percorso.