Domenica 2 aprile abbiamo purtroppo assistito all’ennesimo episodio di violenza legato al mondo del calcio giovanile. Il fatto si è svolto ad Albano Sant’Alessandro, in provincia di Bergamo e ha coinvolto l’ex calciatore professionista Stefano Turchi. La partita tra le rappresentative giovanili delle società Brusaporto e Uesse Sarnico, valevole per il campionato under 17 élite, ha consegnato alla cronaca l’ennesimo episodio di violenza che coinvolge un genitore dei ragazzi impegnati in campo.
La dinamica dell’aggressione
Turchi stava seguendo la partita dell’under 17 del Brusaporto, di cui è uno dei dirigenti, nella zona riservata ai tesserati. Il genitore violento si era avvicinato all’area preposta per dirigenti e giocatori con il fine di aiutare il figlio infortunatosi durante lo svolgimento del match. Questo era però rimasto in panchina per sostenere i compagni della Uesse Sarnico. Il padre, invece di tornare in tribuna, continuava a sostare nella zona riservata alle società e col passare dei minuti lo stato d’animo del genitore si faceva via via più irascibile, come testimoniato dagli insulti da lui indirizzati verso il campo. Turchi, a quel punto, avrebbe provato a calmare il genitore, finendo per essere aggredito dallo stesso con molteplici calci e pugni. L’estrema violenza dell’aggressione ha provocato alla vittima un trauma cranico, provocato prima che l’aggressore venisse fermato da alcuni dirigenti del Brusaporto. Entrambe le società si sono rapidamente dissociate dall’accaduto e lo hanno condannato fortemente attraverso dei comunicati.
L’aggravante delle condizioni di Turchi
Ad aggravare un fatto già di per sé intollerabile sono le condizioni particolarmente delicate della vittima. A Turchi, infatti, è stata diagnosticata nel 2007 la SLA (sclerosi laterale amiotrofica), malattia fortemente debilitante e che lo costringe su una sedia a rotelle e ne limita la prestanza fisica. Turchi nonostante questo non aveva abbandonato il mondo del calcio, spendendosi nel ruolo di dirigente giovanile e continuando a calcare il rettangolo da gioco, anche se non più come giocatore, nonostante la brutta malattia. Grande l’amarezza della vittima, che commentava l’accaduto indicando come stesse pensando di abbandonare l’ambiente, dopo una vita dedicata a questo gioco.
L’eccessiva ricorrenza di episodi simili
Questo episodio è soltanto l’ultimo di una lunga serie di momenti violenti che contraddistinguono la cronaca legata al calcio giovanile nel nostro paese. Quasi settimanalmente giungono notizie che suggeriscono una deriva pericolosa per i campionati giovanili. Episodi di questo tipo invitano a ripensare ai modelli comportamentali proposti e gli spazi impiegati. Sempre più genitori, dirigenti e allenatori si rendono artefici di aggressioni (fisiche o verbali) nei confronti degli avversari o dell’arbitro, evidenziando problematiche dal punto di vista educativo. Stiamo parlando di figure che dovrebbero fungere da educatori e da punti di riferimento per i ragazzi, non da aizzatori o provocatori. Ulteriore problema che emerge da questo caso di cronaca, ma anche da altri analoghi, è la necessità di ripensare e rimodulare gli spazi impiegati. Genitori e tifosi non devono poter accedere alla zona riservata ai tesserati, che deve essere a disposizione esclusiva di questi ultimi.