In Iran un sex tape, ha fatto sospendere un funzionario di stato, peraltro addetto alla promozione dei valori islamici e ha spinto le autorità a negare qualsiasi conoscenza preventiva del suo presunto comportamento.
La vicenda
La storia inizia nella provincia di Gilan, nel Nord dell’Iran. Un video pubblicato online mostra presumibilmente il funzionario della Cultura e della Guida Islamica nella provincia di Gilan, Reza Tsaghati, mentre fa sesso con un altro uomo. Le loro identità e l’autenticità del video non sono in realtà ancora state verificate, ma Tsaghati è stato nel frattempo rimosso dal suo incarico mentre le autorità indagano.
L’omosessualità è illegale in Iran, e le persone facenti parte della comunità LGBT+ sono costantemente esposte al rischio di molestie, abusi e violenze di ogni sorta. Il video, che è stato ampiamente condiviso sui social media, ha suscitato scalpore in rete. E questo anche perché Tsaghati è il fondatore di un centro culturale incentrato sull’hijab e sui valori tradizionali dell’Islam: il suo lavoro e impegno più grande, era infatti quello di promuovere i “valori islamici”, mestiere che svolgeva per il ministero della Cultura e dell’orientamento islamico. Tra le sue mansioni, vi era quella dell’organizzazione di incontri volti a istruire su vari aspetti dell’islam, ad esempio, per le donne, l’uso dell’hijab, o la questione della castità.
Decine di iraniani denunciano l’ipocrisia del sistema, in un Paese in cui l’omosessualità è vietata e punita, e mentre il governo è impegnato in una nuova campagna contro le donne che non indossano il velo. Il video è stato pubblicato per la prima volta da un gruppo di media anti-establishment, Radio Gilan, sul loro canale Telegram. Il caporedattore Peyman Behboudi ha affermato che il canale continuerà a denunciare la “corruzione tra i funzionari del regime”.
Nel frattempo, sabato, il ministro della cultura iraniano Mohammad Mehdi Esmaili ha affermato che non esistevano rapporti negativi relativi a Tsaghati prima della pubblicazione del video. Alcuni hanno affermato che la semplice rimozione di Tsaghati dal suo incarico ha evidenziato ancora una volta la differenza nel modo in cui i funzionari iraniani vengono trattati quando vengono accusati di un crimine, rispetto alla comunità LGBT+ o alle donne che non aderiscono alle regole islamiche.
La condizione delle donne e degli omosessuali
Secondo la legge iraniana infatti, che si basa sulla Sharia, le relazioni omosessuali sono viste come crimini che comportano una pena massima di morte. Questa severa punizione è stata usata raramente, ma la comunità LGBT+ deve affrontare discriminazioni quotidiane. Anche le donne sono state severamente punite in Iran per non aver indossato l’hijab. Le proteste a livello nazionale contro il suo uso obbligatorio sono scoppiate a settembre, innescate dalla morte della 22enne Mahsa Amini, e continuano. Mahsa è morta tre giorni dopo essere stata arrestata dalla polizia morale iraniana per la violazione delle regole che impongono alle donne di coprirsi i capelli. La sua tragica scomparsa ha sollevato diverse proteste non solo in Iran, sfociando in manifestazioni a livello mondiale.