Nel 1997, Giuseppe Soffiantini lavorava come imprenditore tessile, aveva sessantadue anni e viveva a Manerbio. Nonostante la solida reputazione che si era costruito nel mondo imprenditoriale mai si sarebbe potuto aspettare di divenire il protagonista di un incubo.
Accadde la sera del 17 Giugno 1997.
Mentre era davanti al televisore fecero irruzione tre uomini. Sono Mario Moro, pastore nato a Ovodda e cresciuto Ginestreto, in provincia di Sogliano al Rubicone, Giorgio Sergio e Osvaldo Broccoli.
I malviventi, per prima cosa, imbavagliarono e nascosero in cantina la colf e Adele Mosconi, moglie di Soffiantini. Dopo fu il turno di Soffiantini: caricato su una Fiat Croma con al volante Agostino Mastio che all’epoca viveva a Perugia.
L’idea del sequestro fu di Mario Moro, anche lui ex pastore sardo, con l’aiuto di Pietro Raimondi, conosciuto in prigione.
Dopo il rapimento, Giuseppe fu ostaggio di Attilio Cubeddu e Giovanni Farina, dai quali fu tenuto prigioniero in luoghi mai resi noti tra le montagne della Calvana e le campagne di Grosseto. 237, tanti furono i giorni di segregazione.
Accaddero in quel periodo eventi tumultuosi quanto tragici.
Il 17 ottobre 1997 i Nocs, i nuclei speciali della polizia, per la prima volta intentarono un blitz. Il piano era chiaro: fingere di consegnare ai rapitori il denaro a titolo di riscatto e poi arrestarli.
Ma non tutto andò come previsto e l’ispettore Samuele Donatoni rimase ucciso in un conflitto a fuoco. Secondo gli atti del processo egli sarebbe stato ucciso dal “fuoco amico”, non dai colpi di kalashnikov di uno dei sequestratori. Ma, ad oggi, nessuno ha mai confessato l’omicidio. Gli altri due agenti, Stefano Miscali e Claudio Sorrentino, che con lui formavano l’equipaggio “Volpe 6”, subito avvisarono la centrale dell’accaduto e solo dopo un’estenuante ricerca riuscirono a trovare il corpo, ormai senza vita, di Donatoni.
Ma ciò che accadde dopo fu ancora più sconvolgente.
Il 25 gennaio 1998 un pacco con una lettera di Soffiantini e un pezzo di un suo orecchio viene recapitata a Enrico Mentana, all’epoca direttore del Tg5, che legge la missiva la sera stessa.
Solo dopo tutto questo i sequestratori rilasciano Soffiantini che venne ritrovato a Impruneta, in provincia di Firenze il 9 febbraio 1998, dopo 237 giorni di prigionia e dietro pagamento di un riscatto di 5 miliardi di lire dell’epoca.
La liberazione e la gioia di quel 9 Febbraio del ’98
Quando arrivò la notizia Manerbio era in subbuglio.
Ad aspettare Soffiantini, davanti la porta di casa, c’era un una piccola folla, pronta a festeggiare il ritorno dell’industriale.
Mario Moro morì nel carcere di Opera in seguito a una tromboembolia e Giovanni Farina fu arrestato mentre si trovava in Australia. In seguito all’arresto di Giovanni Farina in Australia, Soffiantini ha preteso la restituzione del denaro versato, ma non ha saputo confermare se l’uomo, poi condannato, sia davvero stato il suo carceriere. Nulla si sa invece di Attilio Cebeddu, latitante da più di 30 anni.
Negli anni si è ritenuto che Cubeddu sia stato ucciso dallo stesso Farina, intenzionato a non dividere i soldi del riscatto ma nel 2012 sono state avviate indagini a tappeto in Ogliastra per cercarlo nella convinzione che vivesse lì con la complicità di diverse persone.
Nonostante gli appelli promossi, il generale dei carabinieri Francesco Delfino viene condannato a tre anni e 4 mesi di reclusione: secondo l’accusa Delfino, conoscente da anni dei Soffiantini, avrebbe ingannato la sua famiglia sottraendogli ben 800 milioni di lire affermando che sarebbero serviti per la liberazione.
Giuseppe Soffiantini morì poi a Brescia il 12 marzo 2018.