Nel Nord America, centinaia di cervi stanno diventando prede della patologia da deperimento cronico (CWD), meglio conosciuta come “malattia del cervo zombie“. Sguardo spento, bava alla bocca, difficoltà nella coordinazione: questi sono solo alcuni dei sintomi della malattia, che si caratterizza come una patologia neurologica che sta allarmando non poco gli scienziati.
I cervi che ne soffrono vengono infettati dai prioni, ossia particelle infettive proteiche o proteine mal ripiegate, in grado di trasmettere l’anomalia a quelle sane. I prioni sono, purtroppo, molto resistenti all’interno dell’ambiente animale e tuttora non esiste un vaccino o una cura per la malattia da deperimento cronico: pertanto è mortale nel 100% dei casi e provoca sintomi raccapriccianti.
Per l’uomo esiste qualche possibile rischio?
Tale patologia non è nuova, dal momento che se ne discuteva già a partire dalla seconda metà degli anni Novanta. Di recente, tuttavia, ha colpito in particolare modo una nuova impennata dei casi. A destare preoccupazioni è anche il fatto che un animale malato può infettarne altri. Anche interi ecosistemi sarebbero posti in pericolo, proprio a causa della letalità di questa patologia e della sua resistenza: i cervi, difatti, sono considerati una fonte di cibo da parte di ulteriori specie e i loro spostamenti contribuiscono a mutare l’ambiente, portandolo al suo stato di equilibrio.
Secondo quanto riportato da uno studio apparso su The Journal of Neuroscience, sarebbe prevista una “sostanziale barriera di specie per la trasmissione della CWD degli alci agli esseri umani”. Eppure, come riporta d’altro canto Wired, sebbene per ora non siano noti casi di encefalopatie umane riconducibili alla malattia da deperimento cronico, l’esposizione diretta, come nel caso di consumo di carne infetta, e indiretta sono possibilità da tenere in conto e, se dovesse avere luogo un salto di specie, saremmo piuttosto impreparati.
Quali sono i casi concreti di malattia del cervo?
Gli scienziati affermano che la patologia è stata rilevata in ben 800 cervi e alci nel solo Stato del Wyoming, un numero considerevole, tenendo presente che a novembre dello scorso anno era stato registrato il primo caso in assoluto nel celebre Parco Nazionale dello Yellowstone. Si trattava di uno sfortunato cervo mulo (Odocoileus hemionus), la cui carcassa era stata ritrovata dai ranger del Wyoming Game and Fish Department (WGFD) nei pressi del lago Yellowstone.
Secondo i dati dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC) statunitensi, la malattia è stata a oggi riscontrata in 414 contee di 31 diversi Stati negli Usa. A suonare il campanello d’allarme sui potenziali pericoli della malattia sono stati i due ricercatori Samuel J. White e Philippe B.Wilson dell’Università di Nottingham, che hanno pubblicato un articolo su The Conversation.
Secondo lo studio Chronic Wasting Disease in Cervids: Implications for Prion Transmission to Humans and Other Animal Species, solo nel 2017 è stato stimato il consumo fra i 7.000 e i 15.000 animali infetti, con una probabilità di crescita del 20% di anno in anno.