Ha speso delle belle parole il Presidente Sergio Mattarella riguardo al fatto che l’uso dei manganelli contro un corteo di decine di studenti è un fallimento, ma qual è il passo successivo? Le vicende di Pisa e Firenze, con numerosi ragazzi affrontati con la forza bruta dalla polizia, inseguiti, picchiati anche a terra, trattati quasi da “nemici” e non come cittadini liberi di manifestare ed esprimere dissenso, non sono nuovi.
Le cosiddette cariche di “alleggerimento”, di norma sferrate a freddo, senza contatti e trattative fra gli agenti e i manifestanti, sono una specialità italiana da oltre un ventennio. Appartengono a una tradizione poliziesca mai davvero contestata, sebbene ancora se ne parli, nelle interviste rilasciate da ministri e dirigenti di polizia, di una presunto cambiamento a seguito dei fatti del G8 di Genova del 2001, quando si giunse a una sostanziale sospensione dello Stato di diritto.
Tuttavia, non c’è mai stata alcuna svolta. Anzi, alcuni notano una certa continuità fra quel tragico episodio e quelli relativi ai giorni nostri, seppur questi ultimi siano stati meno gravi in termini di portata delle azioni e di entità dei danni fisici e psicologici causati. È il filo conduttore di un’idea di ordine pubblico che ha le sue radici nel modello di polizia precedente la riforma del 1981, quella riforma che cercò di democratizzare almeno uno dei corpi di pubblica sicurezza, di portare i valori della Costituzione nell’agire quotidiano di migliaia di agenti, di stabilire la priorità della prevenzione rispetto alla repressione anche nella “gestione della piazza”. Al G8 di Genova si comprese già amaramente che lo spirito della riforma in appena vent’anni era ormai svanito: rimaneva intatta la forma, ma non di certo la sostanza.
Quali sono le proposte riguardanti gli agenti italiani?
Le opposizioni, dopo i fatti di Pisa, stanno pressando per chiedere che in Parlamento vengano dibattute le proposte di legge, per permettere l’identificazione degli agenti, attraverso numeri sui caschi e body cam. Un modo – a parer loro – che può tutelare non solo i manifestanti, ma anche chi copre il ruolo di assicurare l’ordine pubblico.
Tuttavia, arriva il secco no da parte del centrodestra che si ritiene sfavorevole a qualsiasi strumento “vessatorio” nei confronti dei poliziotti e dei carabinieri. La questione, d’altronde, dal G8 di Genova a seguire, è ancora irrisolta dopo oltre una ventina di anni. E solo da tredici se ne è parlato in forma più concreta, ossia, da quando una risoluzione sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Ue ha esortato gli Stati membri “a garantire che il personale di polizia porti un numero identificativo”. Ora l’opposizione ritorna a ribadirlo.
Polizia e numeri identificativi sui caschi, qual è la situazione in EUropa?
Tra gli Stati membri dell’Ue, ben 20 sono quelli che hanno adottato i numeri identificativi: Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Spagna.
In particolare in Belgio, una norma specifica obbliga gli agenti di polizia a portare sulla giacca una targhetta con nome, grado e forza di polizia, ma si vorrebbe introdurre una nuova forma di identificativi per garantire l’anonimato.
O ancora, in Francia vige l’obbligo per tutti gli agenti in servizio, sia in uniforme sia in borghese, di esporre un codice. Valgono eccezioni solo per gli agenti incaricati di presidiare la direzione generale della sicurezza interna, per quelli in servizio presso le sedi diplomatiche francesi all’estero, in occasione di cerimonie o commemorazioni, e per alcune unità della polizia e della gendarmeria di stato, come quelle di contrasto al terrorismo.