Durante la notte tra il 9 e il 10 gennaio ci lascia Silvia Tortora, figlia del celeberrimo giornalista italiano Enzo Tortora, arrestato nel giugno del 1983.
La giornalista e scrittrice si è spenta questa notte in una clinica romana all’età di 59 anni, ma non sono ancora state rese note le cause del prematuro decesso.
Nata a Roma nel 1962, seguendo le orme del padre, iniziò la carriera di giornalista nel 1985, collaborando al rotocalco di attualità che andava in onda su Rai 2 “Mixer”, insieme a Giovanni Minoli.
A seguito dell’esordio, nel 2004 lavorò al programma “La Storia siamo noi”, dopo essersi dedicata, dal 1988 al 1997 alla stesura per la carta stampata, scrivendo per il settimanale “Epoca”, edito da Mondadori.
Il contributo dato da Silvia Tortora nella divulgazione della storia italiana resta di vitale importanza, specialmente in collegamento all’impegno di investigazione e denuncia nei confronti del sistema di giustizia del nostro Paese.
Enzo Tortora: l’ingiustizia raccontata dalla figlia Silvia
C’è una grande differenza tra una giustizia trasparente ed una spettacolarizzata: l’erroneo arresto di Enzo Tortora ne è un chiaro esempio.
Con i ceppi ai polsi, fu trascinato fuori dall’Hotel Plaza, in cui alloggiava, per essere condotto al carcere di Regina Coeli, all’alba del 17 giugno 1983.
Tutti i giornalisti e i cronisti erano pronti, telecamere in mano, per riprendere il clamoroso avvenimento: un arresto che si rivelò, poi, frutto di un errore giudiziario.
Cinque anni dopo, il 17 marzo del 1988, la Cassazione confermò l’assoluzione decisa in appello il 15 settembre 1986: caddero le accuse che vedevano Tortora coinvolto con la Camorra, dopo le calunnie e le false testimonianze di alcuni pentiti.
Silvia continuò a commentare con sdegno e delusione la vicenda che aveva colpito il padre, allontanandolo dalla propria famiglia e dal mestiere che tanto amava.
La figlia di Tortora pubblicò nel 2003, per i 20 anni dall’arresto del padre, un libro intitolato “Cara Silvia”, ripercorrendo l’ingiusta e deplorevole vicenda, allegando la corrispondenza epistolare dal carcere.