Nel corso di un dibattito pubblico inerente la questione migratoria Carlo Cottarelli, senatore e economista, ha riacceso l’ipotesi del “no way austrialiano“.
“Occorre fermare le partenze e, seppur è vero che “in mare non si lascia morire nessuno”, è anche vero che dobbiamo fare in modo che si entri in Italia solo avendo il permesso“, ha affermato.
Propone quindi come soluzione il modello australiano che scoraggerebbe le persone a partire. In quel caso, infatti, “non è che chi sta in mare non viene salvato”, ma invece che arrivare sul territorio “lo portano in un’isola del Pacifico ad aspettare“.
Continua spiegando: “noi non abbiamo isole adatte nell’Atlantico”, ma si potrebbe sempre trovare una soluzione alternativa, “per esempio l’Algeria, dove collocare i migranti in attesa che siano sbrigate le pratiche burocratiche”. Infatti, in base a questo ragionamento, “se i migranti sanno che finiranno lì, allora non partono più, perché non si danno migliaia di euro agli scafisti per fare un giro del genere”.
Ma come si entra in Australia?
C’è un solo modo per entrare in Australia. Avere un visto australiano valido.
I respingimenti sono previsti dalla cosiddetta “Operazione Confini Sovrani”, un’operazione di sicurezza delle frontiere a guida militare, istituita nel 2013. Essa rappresenta il risultato di una lunga campagna, iniziata il 18 settembre 2013 dopo l’elezione del governo Abbott . L’operazione ha implementato un atteggiamento di “tolleranza zero” nei confronti di ciò che ha definito “arrivi marittimi illegali“, un cambiamento nella terminologia rispetto agli “arrivi marittimi irregolari” del precedente governo in Australia.
L’obiettivo è combattere i trafficanti di esseri umani, proteggere i confini del Paese ed evitare incidenti mortali in mare.
“Se viaggiate in mare verso l’Australia senza un visto, sappiate che non farete mai dell’Australia la vostra casa. Questo vale per tutti: famiglie, bambini, bambini non accompagnati, perso ne istruite e lavoratori specializzati. Non ci saranno eccezioni”, affermava con tono sicuro il generale Angus Campbell, oggi alla testa dell’esercito australiano, ma dal 2013 al 2015 comandante dell’operazione Sovereign Borders.
Nonostante gli ampi spazi oceanici che la circondano, l’Australia ha dovuto infatti far fronte negli anni scorsi a crescenti flussi di immigrati illegali e richiedenti asilo provenienti per lo più dal sud–est asiatico, Iraq e Afghanistan. Tuttavia non si tratta di numeri paragonabili a quelli registrati in Italia, dove gli spazi marittimi da percorrere sono più ristretti.
Il governo australiano ha sottolineato che non vi sono mai state vittime tra i migranti illegali. Se le imbarcazioni su cui viaggiavano sono in buono stato vengono riportate indietro al traino mentre i militari australiani forniscono cibo, acqua e assistenza sanitaria a chi ne ha bisogno.
Qualora le imbarcazioni utilizzate non siano in grado di reggere il mare o riescano a sfuggire ai controlli della Guardia Costiera e a raggiungere la costa australiana gli immigrati illegali vengono trasferiti nei centri d’accoglienza nelle isole Manus (in Papua Nuova Guinea) e nell’isola–Stato di Nauru. Paesi che ricevono aiuti economici da Canberra e in cambio accettano di ospitare i richiedenti asilo i quali, se la loro richiesta verrà accolta, potranno vivere in queste isole pacifiche e prive dei pericoli che correvano nei loro Paesi d’origine, ma non potranno vivere in Australia.
In questo senso Canberra ha coerentemente attuato un notevole sforzo anche in termini di comunicazione e deterrenza con una campagna nota con lo slogan “No way” tradotta in 17 lingue con manifesti e spot diffusi in molti Paesi asiatici in cui si scoraggiano i migranti a partire.