Philip Morris tenta di boicottare l’OMS? Il recente dibattito sulla sigaretta elettronica divide il mondo

Tra meno di un mese a Panama si terrà  per la decima volta la Framework Convention on Tobacco Control (Fctc), la convenzione dell’Oms nata dall’accordo di 180 paesi differenti nel 2003 per regolare il tabacco e i prodotti contenenti nicotina.

In questi ultimi giorni la FCTC ha pubblicato due rapporti che hanno già suscitato le prime polemiche.

La maggior parte di queste sono generate dal fatto che in primis le compagnie di tabacco non sono invitate alla convention e, soprattutto, che l’OMS abbia equiparato le sigarette a combustione con i prodotti a tabacco riscaldato, con controproducenti restrizioni per questi ultimi.

Grégoire Verdeaux, vicepresidente di Philip Morris International (PMI), la società di tabacco e vaping  targata Marlboro, ha descritto l’ordine del giorno della riunione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità come un “attacco proibizionista” ai prodotti senza fumo.

Afferma infatti: “L’ordine del giorno e i documenti della riunione sono stati resi pubblici per la maggior parte. Purtroppo hanno riconfermato ogni preoccupazione che avevamo che questa conferenza potesse rimanere come la più grande occasione mancata nella storia del controllo del tabacco. L’agenda dell’OMS è a dir poco un attacco sistematico, metodico e proibizionista ai prodotti senza fumo”.

Ciò che non tutti sanno è che Philip Morris da anni sta conducendo un’attività di lobbying al fine di promuovere l’utilizzo della sigaretta elettronica. A tal proposito avrebbe creato la “Foundation for a Smoke-Free World“, al centro dell’inchiesta condotta da Stephan Horel per Le Monde la quale ha dimostrato che, nonostante la fondazione si dichiari del tutto indipendente dal suo finanziatore, risulta invece essere asservita agli interessi dell’azienda.

D’altronde, considerata l’importanza del buisness delle sigarette elettroniche, non c’era da stupirsi.

Dal 2014 il produttore di Marlboro ha investito molto sul dispositivo Iqos, che sfrutta la tecnologia “heat not burn” basata cioè sul riscaldare i bastoncini di tabacco chiamati Heets, senza l’utilizzo di alcun processo di combustione. Secondo gli studi condotti da Philip Morris, questa innovazione permette a Heets di emettere tra il 90% e il 95% in meno di sostanze dannose rispetto alle sigarette tradizionali. Le vendite di Iqos rappresentano una considerevole entrata economica per l’azienda, generando quasi 6 miliardi di euro all’anno, equivalenti a circa un quarto del totale del fatturato della multinazionale.

D’altro canto la posizione dell’Oms sulle “alternative” alla sigarette tradizionali è molto netta: “Ci sono ancora molte domande senza risposta sulle alternative al fumo. Ma la ricerca necessaria per rispondere non dovrebbe essere finanziata dalle compagnie del tabacco.

Ora Philip Morris è preoccupata che l’OMS “comprometta irreversibilmente” la redditività dei prodotti del tabacco e del vapore senza combustione attraverso quello che afferma essere “un attacco a dir poco sistematico e metodico ai prodotti senza fumo”.

Sulla svapo visioni diverse da stato a stato

Nel mondo ancora deve essere raggiunta un’unanimità di pensiero rispetto alla sigaretta elettronica e, probabilmente, mai ci sarà.

Mentre infatti ci sono alcuni paesi che ne esaltano i benefici altri ne vietano completamente la commercializzazione in quanto sostengono procurino considerevoli danni alla salute.

Property Rights Alliance, la coalizione internazionale formata da ben 120 istituti di ricerca operanti in 72 diverse nazioni, ha pubblicato un documento intitolato “Vaping Works“, volto a indagare sull’esistenza di una connessione tra l’uso della sigaretta elettronica e lo smettere di fumare.

Emerge dal rapporto che nei paesi che hanno adottato politiche favorevoli alla commercializzazioni di tali dispositivi, come Francia, Nuova Zelanda e Canada, i fumatori sono diminuiti in media del 3,6%, partendo dal 4% del Canada fino al 3,2% della Nuova Zelanda, nel periodo compreso tra il 2012 e il 2018.

Altri Paesi dovrebbero adottare la riduzione del danno tramite il vaping – dichiara infatti Lorenzo Montanari di Property Rights Alliance – e mettere in discussione l’ortodossia della Fctc dell’Oms”. “Con la COP9 che si avvicina – conclude Montanari – Francia, Nuova Zelanda e Canada dovrebbero testimoniare le loro storie di successo nelle politiche di riduzione del danno e suggerire miglioramenti alla Fctc a beneficio della salute pubblica mondiale”.

Ma, come abbiamo anticipato, non tutti i paesi ne sostengono i benefici.

L’Austria ad esempio ha recentemente varato delle leggi piuttosto restrittive sulla vendita delle sigarette elettroniche, vietandone anche la pubblicità.

Più complessa la situazione in Norvegia, dove l’acquisto e l’uso della e-cig è permesso soltanto se si ha la possibilità di dimostrare, tramite certificato medico, che servono a smettere di fumare.

La legge è molto severa anche in Turchia e in Thailandia, paesi in cui si prevedono multe salatissime e addirittura la reclusione per chi fosse in possesso di sigarette elettroniche.

Altri paesi nei quali fumare e-cig è vietato sono l’Argentina, il Venezuela, il Giappone e Australia.