La storia di Amina Milo Kalelkyzy, la diciottenne italiana detenuta in Kazakistan da tre mesi

Amina Milo Kalelkyzy è una ragazza pugliese di 18 anni, secondogenita di Assemgul Sapenova, nata in Kazakistan e naturalizzata italiana, e Sergio Milo, padre adottivo nato e cresciuto in provincia di Lecce.

Una famiglia come tante che si è ritrovata nel mezzo di un vero e proprio incubo.

Cosa è successo? I fatti all’origine della vicenda

Tutto è iniziato a Luglio, quando la giovane decise di andare con la madre in Kazakistan per trascorrere qualche giorno con alcuni parenti che vivono lì.

Stando a quanto divulgato da il Quotidiano di Puglia, i primi a lanciare la notizia, la diciottenne, mentre passeggiava ad Astana con un ragazzo del posto, sarebbe stata fermata per la prima volta durante la notte del 2 Luglio.

All’epoca nessuno si sarebbe aspettato come sarebbero precipitate le cose anche perché, dopo aver trascorso la notte in custodia, la giovane sarebbe stata rilasciata senza resistenze.

Tuttavia, dopo due giorni, sarebbe intervenuto un nuovo fermo e le sarebbe stato rivolto l’ordine di riandare in caserma. Da questo momento in poi la vicenda sembra essere diventata la trama di un film distopico perché la giovane non viene portata in alcuna caserma o stazione di polizia, bensì in una casa privata dove sarebbe stata segregata e maltrattata per più di due settimane. 

Inoltre, approfittando dell’apprensione dei genitori, due militari avrebbero chiesto per telefono alla madre un riscatto di 60 mila euro. Cifra che ovviamente la madre si è rifiutata di corrispondere anche perché, dal momento che la figlia è detenuta senza processo e prove a carico, pagare il riscatto avrebbe significato assentire a questa totale violazione dei diritti umani e in particolare del diritto di difesa.

Non riuscendo a ottenere giustizia, la madre si è rivolta all’ambasciata italiana ad Astana e solo così ha potuto ottenere il rilascio da quello che l’ambasciata ha definito “stato di detenzione illegittimo”.  

Ma, quando tutto sembrava ormai essere concluso, l’11 Luglio successivo la 18enne viene nuovamente convocata in centrale.

Ingannata e costretta a firmare documenti in una lingua sconosciuta, dato che Amina “non parla né il Kazako né il russo”, è stata arrestata con l’accusa di traffico internazionale di droga.

Sono passati tre mesi da quel giorno e la giovane continua a essere detenuta in condizione disumane e senza, lo ribadiamo, che sia stato celebrato alcun processo e senza indizi a suo carico.

Sentendosi totalmente impotente di fronte a questa situazione la madre ha deciso di lanciare un appello sui social e la questione ha assunto visibilità internazionale.

L’appello e la denuncia della madre

“Sono all’esterno del carcere, qui è sera, spero di riuscire a entrare domani mattina. Amina l’ho vista l’ultima volta venerdì. Ha tentato per due volte il suicidio, la seconda volta quando le hanno negato i domiciliari. Sta male perché nessuno le crede. È stanca, ha perso nove chili. Siamo tutti molto depressi”, dichiara Assemgul.

Assemgul ogni giorno va in carcere a trovare la figlia per darle conforto e offrirle tutto ciò che le può essere utile come acqua, cibo e vestiti. Ogni giorno, da circa tre mesi, la madre attende un’ora e mezza in fila per poter scambiare qualche parola con Amina per soli 15 minuti, il tempo massimo che le viene concesso.

La donna racconta che per tre volte ha chiesto i domiciliari ma nulla è cambiato.

Abbiamo chiesto per tre volte i domiciliari. Ci avevano anche assicurato che li avremmo ottenuti, ci hanno illusi. E poi invece ce li hanno negati. Anche per questo sono molto arrabbiata. Ora ci siamo rivolti alla Procura Speciale del Kazakistan per denunciare gli abusi e le violenze della Polizia. Adesso attendiamo il confronto. Ci hanno persino detto che loro volevano liberare Amina, ma lei voleva restare in quella casa. È assurdo. Pensi che ci hanno chiesto dei soldi”.

Intanto il 26 Ottobre Amina scrive una lettera direttamente dalla sua cella dove chiede un disperato aiuto al nostro ministro degli affari estri Tajani.

Cosa è e come funziona la protezione diplomatica

“Sono Amina, cittadina italiana, sono detenuta in carcere in Kazakistan senza prove a mio sfavore. Chiedo aiuto all’Italia e in particolare al ministro Tajani. Vi prego aiutatemi, sto male, voglio tornare a casa”.

La richiesta di Amina, tradotta in termini giuridici, è chiara: che l’Italia agisca in protezione diplomatica.

Secondo il Progetto di articoli sulla protezione diplomatica adottato nel 2006 dalla Commissione del diritto internazionale delle NU, la protezione diplomatica definisce la facoltà dello Stato di “agire a tutela di un suo cittadino che all’estero abbia subito una violazione dei suoi diritti (o beni) da parte di un altro Stato”.

Dunque, differentemente da ciò che potremo pensare, non è il cittadino il titolare del diritto di “essere protetto in via diplomatica”, bensì è lo stato a decidere discrezionalmente se intervenire o meno a favore del proprio cittadino.

E ciò perché “la violazione dei diritti del cittadino costituisce una violazione indiretta del diritto proprio dello Stato al rispetto delle norme internazionali che stabiliscono obblighi in materia di trattamento degli stranieri”.

L’Italia ha deciso dunque di esercitare tale diritto per il caso in questione e le parole di Amina non sono state lasciate al vento.

A tal proposito il Quotidiano di Puglia afferma : “Tajani ha dato disposizioni all’ambasciata ad Astana di garantire la massima assistenza alla connazionale, che riceve visite regolari da parte del personale consolare italiano in Kazakistan. Durante le fasi processuali, un funzionario dell’ambasciata ha sempre partecipato come osservatore. Il ministero e l’ambasciata ad Astana continueranno a occuparsi del caso e a fornire assistenza alla connazionale“.