Sicilia Nostra di Massimiliano Romano: emozioni attraverso la rivisitazione di infinite tradizioni

Conquistato da una storia antica che, come quelle della buonanotte, riempie l’anima di bello e confortante.

La storia non è quella narrata dalla voce tremante, come una fiammella nella sera, di un nonno o da una nonna; o dalla voce sicura e accarezzante di una mamma o di un papà; è la storia narrata da un magnifico incontro tra un gruppo di pesci ancora fragranti di iodio e salsedine e una salsa di pomodoro che rievoca un mondo di odori e sapori che speravamo esistesse ma non ne conoscevamo il nascondiglio.

Tornano in mente i versi di Neruda: “mezzogiorno,/estate,/la luce/si divide/in due/metà/di un/pomodoro,/scorre/per le strade/il succo.”

Lo chef di questo luogo di narrazione all’apparenza semplice e senza particolari orpelli si chiama Massimiliano Romano.

“Mi chiamo Massimiliano Romano, sono nato a Lentini in provincia di Siracusa e ho 41 anni; sono uno chef per tradizione familiare e questo mi ha permesso di iniziare la mia formazione per gioco e anche per dovere. Crescendo mi accorgevo che cucinavo per vera passione. Così, dopo il diploma all’alberghiero, comincio il mio cammino professionale passando dall’ esperienza nelle trattorie del mio territorio, ricche di insegnamenti sulla mia terra e sulle tradizioni, fino a esperienze molto più grandi come il Savoy di Londra. Oggi sono lo chef e il patron di Zàgarà e del bistrò MR Sicilia nostra; le loro sale sono, come i simposi nell’antichità, luoghi e momenti in cui posso diffondere la mia filosofia di cucina nei piatti, parlando e raccontando di semplicità e tradizione. Immergermi nel mio mondo, ogni giorno, è lo stimolo più adrenalinico che io possa avere e quando parlo di lui non lo racchiudo in 4 mura circondato da fornelli ma ne amplifico il respiro attraverso la ricerca delle emozioni che in esso sono custodite. Ecco, questa ricerca di emozioni passa attraverso la rivisitazione di infinite tradizioni e sapori che la frenesia di oggi tenta di cancellare. La mia cucina diventa luogo immaginario e surreale; in essa l’imperfezione incontra la perfezione; la sua architettura è teatro e gli attori sono le materie prime così come i copioni sono le tecniche di trasformazione, gli abiti di scena sono le decorazioni e noi siamo la sicurezza della regia e tutto questo in un’opera dal titolo: semplicità.

Il compito e l’obiettivo del mio pensiero sono quelli di rispettare il DNA della materia prima senza mistificazione – quella le lasciamo ai prestidigitatori dei fornelli – e allo stesso tempo fornire a essa la condizione di potersi esprimere al massimo.

Un tempo chiesi a mia madre, grande cuoca, come mai la sua salsa di pomodoro fosse buonissima e io non riuscivo a ottenere quello stesso risultato; lei, pacata, mi rivelò: “Io non ho premura quando cucino”. Ho ripensato tanto a quelle parole e oggi attorno a esse ho costruito la mia filosofia di cuoco.

Come mia madre, anch’io, adesso, non ho più premura quando cucino e ogni volta che assaggio una salsa di pomodoro, cucinata col trascorrere del tempo, mi dico sempre: Ma’, avevi ragione! Semplicità e dedizione”