Chiara Pezzullo non ha nemmeno 18 anni e firma La Panda rossa, un romanzo che racconta la violenza invisibile nelle relazioni.
Gli anni del liceo sono spesso i più belli della nostra vita. Lo diciamo quasi sempre a posteriori, quando quella stagione è già passata e si è trasformata in un ricordo levigato, più gentile di quanto fosse davvero. Sono anche, però, gli anni della massima creatività, quelli in cui tutto sembra possibile: scrivere un romanzo, cambiare il mondo, raccontare una storia che abbia un senso più grande di noi. Non tutti ci riescono. Non tutti siamo Marco Lombardo Radice o Lidia Ravera, non tutti siamo Melissa Panarello. E non lo è nemmeno Chiara Pezzullo, che da quegli autori è lontana per toni, stile e generazione. A unirli, però, resta un dato che conta: la giovanissima età al momento dell’esordio e la decisione, non banale, di prendere sul serio la scrittura.
Chiara Pezzullo è nata nel maggio del 2008, frequenta il quarto anno di liceo classico a Milano e con La Panda rossa firma il suo primo romanzo. Un esordio che colpisce non per l’effetto “precocità”, ma per la lucidità con cui sceglie il tema e lo attraversa. Il libro si apre con una dedica che è già una dichiarazione di intenti: “A qualsiasi donna che almeno una volta nella vita ha avuto paura di essere donna”. È una frase che orienta tutto il racconto e che chiarisce il tentativo di dare forma narrativa a qualcosa che spesso resta invisibile.
La protagonista è Sara, una ragazza piena di sogni, musica e desiderio di futuro. L’incontro con Edoardo sembra l’inizio di una storia come tante: un amore totalizzante, protettivo, capace di dare sicurezza. È proprio in questa normalità apparente che La Panda rossa trova il suo punto più inquietante. La relazione, pagina dopo pagina, cambia pelle. L’entusiasmo dei primi gesti lascia spazio al controllo, poi alla manipolazione, fino a una paura che non ha bisogno di urla per essere devastante. La violenza raccontata da Pezzullo non è mai plateale, ed è forse per questo che fa più male: è quotidiana, mimetizzata, difficile da nominare.
Il simbolo scelto dall’autrice è semplice e potente allo stesso tempo. La Panda rossa del titolo è l’auto che accompagna Sara nei suoi primi slanci di indipendenza, ma diventa anche il luogo fisico e mentale della prigionia emotiva. Un oggetto comune che si carica di significati, senza forzature, seguendo l’evoluzione della storia. È uno dei segni di una scrittura che, pur giovane, mostra attenzione al dettaglio e alla costruzione simbolica.
Lo stile è diretto, intimo, spesso cinematografico. Pezzullo non cerca frasi ad effetto né soluzioni letterarie complesse. Preferisce una lingua limpida, che alterna la tenerezza della memoria alla durezza della realtà. Racconta la confusione, il senso di colpa, la vergogna di chi subisce abusi emotivi, ma lascia spazio anche alla consapevolezza e alla possibilità di rinascita.
La Panda rossa non è solo una denuncia, ma un atto di resistenza: un invito a riconoscere i segnali del possesso e a spezzare il silenzio. Un romanzo di formazione che parla ai giovani, ma anche agli adulti: ai genitori, agli insegnanti, a chi ogni giorno prova a riconoscere e prevenire la violenza prima che diventi irreparabile.