Non è una provocazione, né una fake news: negli archivi del Premio Nobel esistono tracce di proposte di candidatura ai tre dittatori.
Pensavi che il Premio Nobel per la Pace fosse riservato solo a figure irreprensibili, simboli universali di giustizia e non violenza? In teoria sì. Ma nella pratica, la storia dimostra che non sempre le proposte seguono la logica. Nei primi decenni del Novecento, infatti, Hitler, Mussolini e Stalin sono stati nominati o proposti come candidati per il Nobel per la Pace. Nessuno dei tre ha mai vinto, ma il solo fatto che i loro nomi siano stati messi sul tavolo è uno degli episodi più incredibili della storia del premio.
Tra ironia, errori politici e paradossi storici
Nel 1935, Benito Mussolini fu formalmente proposto come candidato. Egli fu ufficialmente proposto nel 1935 da due accademici -un tedesco e un francese -ma la candidatura non superò le selezioni iniziali. La motivazione? Aveva portato “stabilità” in Italia. Una lettura, oggi, decisamente grottesca. Il Comitato Nobel non prese mai seriamente in esame la sua candidatura. Nello stesso periodo, il Nobel per la Pace fu invece assegnato al giornalista tedesco Carl von Ossietzky, incarcerato per aver denunciato il riarmo segreto della Germania. Già nel 1931, prima dell’ascesa di Hitler, Ossietzky era stato condannato per spionaggio e alto tradimento. Decenni dopo, nel 1990, sua figlia chiese la revisione del processo, ma la Corte suprema tedesca confermò la condanna.
Più controverso è il caso di Adolf Hitler. La sua candidatura fu avanzata nel 1939 da Erik Brandt, parlamentare svedese. Ma si trattava di una provocazione ironica. Brandt, noto antifascista, voleva denunciare l’ipocrisia della politica internazionale che, mentre predicava la pace, restava silenziosa di fronte all’aggressività nazista. Il problema è che la sua ironia non fu compresa da tutti. Il nome di Hitler finì effettivamente tra i candidati di quell’anno, generando imbarazzo. Brandt fu costretto a ritirare subito la proposta, spiegando pubblicamente che si trattava di una satira.
Joseph Stalin, paradossalmente, fu seriamente preso in considerazione per il Nobel per la Pace, non una, ma due volte: nel 1945 e nel 1948. In entrambi i casi, le proposte si basavano sul suo ruolo nella vittoria contro il nazismo e nella fine della Seconda guerra mondiale. Ma furono ignorati (o volutamente dimenticati) i gulag, le purghe, le repressioni e le deportazioni di massa.
Tutti e tre i nomi, oggi, sembrano assurdi. Eppure sono lì, registrati negli archivi ufficiali della Fondazione Nobel. Perché il Premio Nobel per la Pace, come tutti i premi politici, riflette anche le contraddizioni del tempo in cui si vive.
Oggi, queste vicende servono da monito. Non basta essere nominati per legittimare un’azione o una figura. Le proposte, come dimostrano i casi di Hitler, Mussolini e Stalin, non equivalgono a un riconoscimento, ma raccontano molto di come certi momenti storici hanno distorto il senso delle parole “pace” e “merito”.
Quella del Nobel non è solo una lista di vincitori: è anche una storia fatta di errori, provocazioni e, talvolta, incredibili paradossi.